1. Alle radici dell’affidamento del Lanteri a Maria
Forse sembrerà strano, ma alla radice dell’affidamento del Lanteri a Maria – ed è questa la radice che c’è anche in ogni credente – non c’è l’iniziativa personale del singolo, ma il dono pasquale del Maestro che dall’alto della croce ci ha affidati a lei, la Madre, e a lei affida ciascuno di noi. Il Lanteri ha capito questo e ha accolto questo immenso dono. L’affidamento del Lanteri a Maria è dunque la risposta al duplice amore di Cristo che ci affida a Lei e di Lei che ci accoglie come figli nel Figlio.
La radice della spiritualità mariana è proprio in questa risposta-accoglienza di questo dono, che coinvolge tutta la personalità umana e spirituale del discepolo.
Fin da piccolo il Lanteri ha intuito l’importanza di questa risposta al dono che il Cristo ci fa di Maria, e che fa anche personalmente a lui dall’alto della croce, approfondandolo e consolidandolo per tutta la sua vita. Un episodio significativo è certamente quello che segue alla morte della mamma, quando il Lanteri aveva solo quattro anni. Il padre, Pietro, lo guidò molto da vicino, educandolo nella fede.
Dal padre Bruno apprese una tenera devozione alla Madonna. Fu infatti il papà stesso a proporgli Maria come Madre quando, probabilmente nella chiesa di Santa Maria della Pieve presso la tomba dove venne sepolta la moglie Margherita, lo affidò a Maria, affinché gli fungesse da madre. Così un profondo legame di cuore con Maria venne a stabilirsi fin dai primi anni della sua vita in famiglia.
2. L’affidamento a Maria
Già dai primissimi anni della sua vita, il Lanteri imparò a vedere nella Vergine Maria sua madre. A lei fu affidato dal padre dopo la morte della propria mamma: «D’ora in poi lei sarà la tua mamma». Aveva solo quattro anni. Più tardi il Lanteri, quando avrà toccato la sessantina, sovente diceva agli amici: «Per me non c’è stata altra mamma che la Santissima Vergine Maria e io non ho ricevuto altro che carezze e favori da una Madre così buona».
All’età di ventidue anni il giovane Lanteri, nell’imminenza dell’ordinazione al primo degli ordini maggiori, il suddiaconato, si affidò a Maria.
«Cuneo, il 15 agosto 1781. .
Sappiano tutti coloro nelle mani delle quali capiterà questa mia Scrittura, che io sottoscritto B. [Bruno] mi vendo per schiavo perpetuo della Beata Vergine Maria Nostra Signora con donazione pura, libera, perfetta della mia persona, e di tutti i miei beni acciò ne disponga ella a suo beneplacito come vera, ed assoluta Signora mia. E siccome mi riconosco indegno di una tal grazia prego il mio S. Angelo Custode, S. Giuseppe, S. Teresa, S. Giovanni, S. Ignazio, S. Francesco Saverio, S. Pio, S. Bruno acciò mi ottengano da Maria Santissima che si degni ricevermi tra i suoi schiavi. A conferma di ciò mi sottoscrissi. Pio Bruno Lanteri».
Apparentemente questo atto sembra esprimere un semplice omaggio a Maria, frutto di una devozione fondata poco da un punto di vista teologico, ma solo sentimentale, poiché non vi appare nessun riferimento esplicito a Dio e a Gesù Cristo presente invece nell’atto di schiavitù proposto da S. Luigi Maria De Monfort.
Ma se noi leggiamo anche quanto il Lanteri scrisse poco dopo aver redatto la sua “scrittura di schiavitudine” nel suo Direttorio Spirituale, possiamo cogliere tutta la profondità teologica della sua “scrittura” e la sua intrinseca relazionalità all’onore e alla gloria di Dio:
«Voglio avere un amore tenero verso Maria Vergine e confidenza in lei di figlio a sua Madre, e in grado tale, che mi paia impossibile che mi permetta di essere vinto e perisca in quella battaglia: ricorrerò dunque a Lei come un pulcino si ricovera sotto le ali di sua madre alla voce del nibbio vorace, e dopo l’atto d’amor di Dio dirò: “Monstra te esse matrem etc. Sub tuum præsidium etc. Maria mater gratiæ etc. ”, e ciò farò con quella confidenza che un bambino usa con sua madre domandandole ciò che fa di mestieri con gran sicurezza, come se fosse tenuta a concederglielo, e a lei ricorrendo in tutti i suoi travagli, cosicché resta la madre come obbligata, e ricava quindi motivo di voler più bene al figlio, e se le madri di quaggiù cattive qualche volta, pur non sanno negare niente, che si dirà della Gran Madre di Dio? Mi approfitterò di tutti i meriti, grazie e privilegi di questa mia Signora come chi sa di aver ad essi quel diritto che hanno i figlioli alla madre... Unirò i miei atti di fede, speranza, carità ai meriti di mia Madre, e così inseriti in un traffico sì grande e ricco, crescerà a dismisura il povero mio capitale».
Dietro queste frasi di Pio Bruno vi è il riferimento al libro dell’abate Henry-Marie Boudon da cui anche il Monfort trasse ispirazione per la sua teologia mariana:
«Boudon parlò della santa schiavitù alla Madre di Dio, consistente non nel fare pratiche di devozione o recitare preghiere o fare mortificazioni, ma soprattutto e prima di tutto nel consacrare la propria libertà, il proprio cuore e le opere buone al totale servizio di Maria».
Questa certamente era l’intenzione del Lanteri nel mettersi totalmente nelle mani di Maria, sua Madre, in piena fiducia e confidenza. Questo gesto, visto il primato assoluto di Cristo come unico Mediatore tra il Padre e l’umanità, è giustificabile solo alla luce della misteriosa volontà di Dio che ha fatto sì che una piccola fanciulla di Nazareth fosse intrinsecamente inserita nel mistero dell’Incarnazione del suo Verbo, diventandone madre in quanto alla natura umana, proprio in Lei e da Lei assunta. È in forza di questo mistero che Ella partecipa spiritualmente alla generazione di tutti i membri del Corpo Mistico diventandone Madre attraverso la Chiesa, la quale estende a tutti i tempi e luoghi la maternità di Maria. Questo è, in effetti, quello che il Monfort chiama “il segreto di Maria”. Sapere cioè che Dio ha scelto Lei per realizzare nello Spirito Santo la santificazione di tutti i suoi “figli adottivi” (Rm 8,15) invitati ad affidarsi totalmente a Lei, come mezzo assolutamente il più sicuro, facile e certo per realizzare la propria santificazione, cioè la propria conformazione a Cristo.
3. Con confidenza di figlio
Verso questa «Madre sì buona» il Lanteri sente un «amore tenero» ed una confidenza di figlio.
«O Signora, se per tuo mezzo il tuo Figlio è diventato nostro fratello, non sei tu forse diventata nostra Madre? E se vi ho offesi tutti e due, tutti e due siete clementi e pieni di pietà. Dunque fuggirò l’ira del Dio giusto ricorrendo alla pia Madre, l’ira dell’offesa Madre ricorrendo al benigno Figlio. E dirò: O Dio che ti sei fatto Figlio di Donna a causa della nostra miseria, o Donna che ti sei fatta Madre di Dio per la sua misericordia, o avete compassione di me peccatore, o mostratemi altri più misericordiosi a cui rivolgermi».
«Vergine Santa, Madre di Dio, e madre mia, io vi domando due cose che mi sono ugualmente necessarie: datemi vostro Figlio, è il mio tesoro, senza di lui sono povero; date me a vostro Figlio, è la mia saggezza, la mia luce, senza di lui sono nelle tenebre. Tutto a Gesù per Maria. Tutto a Maria per Gesù. Come la vita naturale di Gesù nel seno di sua Madre dipendeva totalmente da Lei, così nella vita della grazia, di cui non c’è nulla di più fragile – perché anche un fantasma, un pensiero può rovinarla – ricorriamo a Maria nostra Madre, lei non mancherà mai di sovvenire ai nostri bisogni, se noi non usciamo fuori dal suo seno».
Da anziano il Lanteri, quando avrà toccato la sessantina, sovente diceva agli amici: «Per me non c’è stata altra mamma che la Santissima Vergine Maria e io non ho ricevuto altro che carezze e favori da una Madre così buona». Spesso la chiamava sua Madre, sua Maestra, sua Nutrice, suo Paradiso.
Nel testamento, scritto verso il 1816 a motivo della scarsa salute, il Lanteri si raccomanda a questa cara Madre:
«Raccomando l’anima mia alla Ss. Triade, al S. Cuore di Gesù, alla Beatissima Vergine Maria che mi fu sempre tenera Madre, a S. Luigi, S. Francesco Saverio, al mio Angelo Custode, al B. Alfonso de Liguori, a tutti i Santi ed Angeli del cielo che spero presto di vedere come fratelli in paradiso, alle preghiere della Santa Cattolica, Apostolica e Romana Chiesa nel cui seno m’intendo e voglio vivere, e morire, ed a quelle dell’infrascritto mio Esecutore testamentario, e di tutti i miei parenti, ed amici».