Homo Sapiens

Homo sapiens, malattia del pianeta Terra?

Marco Fragonara

 

Il grande teologo luterano Jürgen Moltmann, a proposito del futuro ecologico del nostro mondo, ama ricordare una vecchia barzelletta, che recita: «Due pianeti s’incontrano nell’universo. Il primo chiede: “Come stai?”. L’altro risponde: “Abbastanza male. Sono ammalato. Ho l’homo sapiens”. Il primo replica: “Mi spiace. È una brutta cosa. Anch’io l’ho avuto. Però consolati, passa!” - aggiungendo - Ecco la prospettiva nuova e planetaria per l’umanità: questa malattia umana planetaria passa perché il genere umano si autodistrugge, oppure passa perché il genere umano saprà diventare saggio e curare le ferite che esso ha finora inflitto al pianeta Terra»?

Non deve meravigliare che in campo teologico il cristianesimo, in tutte le sue confessioni, protestante, cattolica e ortodossa, si sia spesso interrogato sul destino della terra e sul compito dell’uomo di salvaguardare il creato. Occorre, infatti, ricordare, come scrive il card. Gianfranco Ravasi che «la tradizione ebraico-cristiana ha demitologizzato la natura che non è perciò né una divinità né frutto di una generazione divina come accadeva nelle cosmogonie orientali e nello stesso panteismo stoico o indiano, ma è il risultato di un atto creatore e quindi è una realtà finita e limitata. D'altro lato, pur riconoscendo un legame tra uomo e animali attraverso la vita (rûah o "spirito" vitale), ha affermato una netta distinzione qualitativa tra i due, attraverso l'introduzione di un particolare statuto umano variamente descritto in alcuni passi della Genesi: si pensi al simbolismo dell’ “immagine e somiglianza divina” (1,27), alla dotazione della coscienza morale nella “conoscenza del bene e del male” (cc. 2-3) e alla funzione di “governo” delegato, di “nomina” e di “custodia e coltivazione” del creato da parte dell'uomo e della donna (1,26 e 2,15-20)».

Tuttavia l’uomo non possiede la terra come suo esclusivo oggetto. Proprio per questa ragione, come afferma Amvrosij Jermakov, Vescovo di Gatčina della Chiesa Ortodossa Russa, «il “dominio” dell’uomo sulla natura, di cui parla la Bibbia, non ha carattere assoluto, non significa arbitraria tirannia. Il nostro “possesso” non è irresponsabile, fine a se stesso ed egocentrico ma liturgico: è dato per un compito concreto. Dio ha immesso nella creazione una struttura interiore, che è responsabilità dell’uomo rispettare e custodire. Ecco perché è importante iniziare, a parlare di ecologia muovendo dalla visione teologica del rapporto tra l’uomo e la natura».

Eppure a partire dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso con Lynn White Jr., molti studiosi avrebbero ritenuto proprio la tradizione ebraico-cristiana responsabile dell’aggressione alla natura, come il biblista Carl Amery, che ritiene che lantropocentrismo cristiano abbia generato nelluomo la coscienza della sua totale signoria sulla natura, creando una coscienza che induce luomo a una manipolazione spietata della natura, o successivamente il teologo Eugen Drewermann, che ribadisce la colpevolizzazione della cultura cristiana nei confronti della natura. Il Cristianesimo quindi avrebbe assunto, insieme allantropocentrismo distruttivo dellAntico Testamento, il materialismo e il pragmatismo del pensiero greco-romano.

Al contrario, altre voci recenti, come Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, ritengono che «la tradizione biblica ha colto l’atto creatore di Dio all’interno della prospettiva dell’alleanza: l’esperienza delle meraviglie operate dal Signore nella storia della salvezza ha portato Israele ad approfondire la sua fede in Colui che è forza e sostegno del Suo popolo, proprio perché è il Dio dell’universo, a cui tutte le creature obbediscono. In questa luce, l’uomo e il cosmo rientrano in un unico disegno di alleanza. (…) La natura non ha nulla di divino: essa è creatura, come lo è l’uomo».

Tuttavia, la natura, essendo stata creata da Dio per un atto gratuito d’amore, ha una sua dignità altissima. Tanto che, come recita la Genesi, Dio dopo aver creatosi compiace nel vedere che ciò che ha compiuto è buono: “Dio vide che era cosa buona” (Gen 1). Il testo ebraico originale per “buono” usa il termine “tòb”, il cui significato oscilla rimanda alla sfera morale, oltre che estetica, poiché significa “buono e bello” insieme. In questo senso - prosegue Forte - «sul piano etico questa relazione impegna l’uomo a render conto al Dio vivente della maniera in cui si rapporterà alla natura, che l’Eterno ha affidato alle sue cure».

D’altro canto questa posizione è stata ribadita anche da Bendetto XVI nello storico discorso tenuto al Bundestag di Berlino del 2011, là dove richiama i politici sull’importanza di un’ecologia umana, affermando che «anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura, la ascolta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana», riconfermando il solco già tracciato da Giovanni Paolo II, nel Messaggio per la giornata della Pace del 1990 e ancor prima nell’enciclica sociale Sollicitudo rei socialis del 1987 e dopo in Centesimus annus del 1991, fino a giungere all’istituzione nel 2006 della Giornata per la salvaguardia del Creato, voluta da Benedetto XVI, che da allora cade ogni anno il 1 settembre, quasi in risposta alla proclamazione di San Francesco patrono dell’ecologia, da parte del suo predecessore nel novembre 1979.

In definitiva non è possibile immaginare una creazione senza l’uomo, ma è altrettanto impensabile credere a un uomo senza creazione, proprio per questo il problema della salvaguardia dell’ambiente deve essere visto attraverso un’ottica etica, piuttosto che solo legislativa, così come era stato già intravisto nel Concilio Vaticano II e successivamente nell’enciclica di Paolo VI Gaudium et spes.

È necessario pertanto stabilire con ciò che ci circonda un rapporto di responsabilità, con cui l’operare umano nel cosmo possa accrescere un miglioramento delle qualità di vita, ovviamente questo vale per i vari ambiti scientifici, tecnici e tecnologici, ricercando per tanto, nuovi stili di vita in una logica di maggiore sobrietà e autodisciplina che porti a un maggiore equilibrio anche dell’uso delle risorse.

È sintomatico notare, infatti, che là dove c’è maggior degrado ambientale, vengano colpiti prima di tutto i poveri.

Quindi il compito è principalmente etico, poiché, come ricorda il fisico e teologo Simone Morandini, «la creazione è il primo grande dono attraverso il quale Dio comunica se stesso alle sue creature; è il luogo dell’incarnazione del Figlio, che egli viene a rinnovare nell’attesa della piena liberazione della sofferenza che oggi la permea; è lo spazio in cui soffia lo Spirito divino, colui che è “Signore e dà la vita”».

 

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