Il Concilio Vaticano II ai capitoli 39 e 40 della Lumen Gentium, afferma che tutti siamo chiamati alla santità.Il Concilio Vaticano II ai capitoli 39 e 40 della Lumen Gentium, afferma che tutti siamo chiamati alla santità.Papa Francesco, nell’esortazione apostolica Gaudete et exultate, richiama fortemente questa nostra vocazione universale e ci ricorda che la vera santità, è espressa chiaramente e in modo speciale in due quadri del Vangelo di Matteo. Il primo sono le Beatitudini (sottovoce aggiungerei: tutto dei capitoli 5 – 6 e 7 di Matteo ), e il secondo quadro è il giudizio finale del capitolo 25, 31-46 (cioè le opere di misericordia).In questa esortazione il santo Padre nel capitolo quarto descrive, poi, alcune caratteristiche della santità nel mondo attuale. Lui le chiama “espressioni spirituali”che, a suo giudizio, sono indispensabili per comprendere lo stile di vita a cui il Signore Gesù ci chiama.Quali sono?1) Sopportazione, pazienza e mitezza; 2) Gioia e senso dell’umorismo; 3) Audacia e fervore; 4) La comunità; 5) Preghiera costante.
Il papa sottolinea questi temi perché sono cinque grandi manifestazioni dell’amore per Dio e per il prossimo che egli considera di particolare importanza.
1) Sopportazione, pazienza e mitezza
La prima di queste “espressioni spirituali” è rimanere centrati in Dio, rimanere saldi in Dio che ci ama e sostiene sempre. Solo così è possibile sopportare e sostenere le contrarietà, le vicissitudini della vita, come anche le “aggressioni” degli altri, le loro infedeltà e i loro difetti. La testimonianza di santità in questo nostro mondo volubile e aggressivo è fatto di pazienza e di costanza nel bene. Chi si appoggia a Dio e vive alla sua presenza non si lascia trascinare dall’ansietà, dall’istinto e non evita chi gli procura sofferenze e disagi. S. Paolo scrivendo ai Rom. 12, 17 invita i cristiani di quella città a “non rendere male per male”, “a non farsi giustizia da se stessi (v. 19) e a “non lasciarsi vincere dal male, ma vincere il male con il bene”. D'altronde Dio stesso è “lento all’ira e grande nell’amore”, Gesù agisce così con noi! Papa Francesco ricorda che il santo non spreca le sue energie lamentandosi degli errori altrui, ma è capace di fare silenzio davanti ai difetti dei fratelli, evitando la violenza verbale che distrugge e maltratta, perché non si ritiene degno di essere duro con gli altri, ma piuttosto li considera “superiori a se stesso” (Fil. 2, 3).Il papa poi ricorda che l’umiltà può mettere radici nel cuore dell’uomo solamente attraverso le umiliazioni. Senza di esse non c’è umiltà, né santità, perché la santità che Dio dona alla sua Chiesa viene dalle umiliazioni del suo Figlio: questa è la via.Il papa scrivendo queste cose si riferisce alle umiliazioni quotidiane, di coloro che evitano di parlare bene di se stessi e preferiscono lodare gli altri invece di gloriarsi, scelgono gli incarichi meno brillanti, ma non per scappare dalle responsabilità; e a volte preferiscono addirittura sopportare qualcosa di ingiusto per offrirlo al Signore: “Se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio” (1Pt. 2, 20).Non dico, aggiunge Papa Francesco, che l’umiliazione sia qualcosa di gradevole, perché questo sarebbe masochismo, ma che si tratta di una via per imitare Gesù e crescere nell’unione con Lui. È una grazia da chiedere, da supplicare: “Signore, quando vengono le umiliazioni, aiutami a sentire che mi trovo dietro di te, sulla tua via”.
2) Gioia e senso dell’umorismo
Quanto detto finora non implica uno spirito triste, acido, malinconico, o un basso profilo di se stessi. Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Anzi illumina gli altri con uno spirito positivo, ricco di speranza. Essere cristiani è “gioia nello Spirito Santo” (Rm 14, 17), perché all’amore di carità segue necessariamente la gioia. I profeti nell'A.T. annunciavano il tempo di Gesù, che noi stiamo vivendo, come una rivelazione della gioia: “Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme” (Is. 40, 9); “Gridate di gioia o monti, perché il Signore consola il suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri” (Is. 49, 13); “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila figlia di Gerusalemme! Ecco a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso” (Zc. 9, 9). E la bella esortazione di Neemia 8, 10: “Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza”.Maria SS. cantava: “il mio spirito esulta...” (Lc. 1, 47) e Gesù stesso “esultò di gioia nello Spirito Santo” (Lc. 10, 21). Quando Lui passava “la folla intera esultava” (Lc. 13, 17). Dopo la sua risurrezione, dove giungevano i discepoli si riscontrava “una grande gioia” (Atti 8, 8). A noi Gesù dà una sicurezza: “Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia… Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv. 16, 20-22). E in Gv. 15, 11: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.è anche vero che ci sono momenti bui, momenti duri, tempi di croce, ma niente può distruggere la gioia soprannaturale, che, come dice il papa nella Evangelii Gaudium, “si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di la di tutto”. È una sicurezza interiore da cui scaturisce una serenità piena di speranza.Il Papa dice che a volte la tristezza è legata all’ingratitudine, cioè stare talmente chiusi in sé stessi da diventare incapaci di riconoscere i doni di Dio. Gesù ci vuole positivi, grati e non troppo complicati. S. Francesco d’Assisi era capace di commuoversi di gratitudine davanti a un pezzo di pane duro, o di lodare il Signore per la brezza che accarezzava il suo volto.È chiaro che il Papa si riferisce a quella gioia che si vive quando si è in comunione fra noi, quando si condivide e si partecipa. L’amore fraterno moltiplica la nostra capacità di gioia, poiché ci rende capaci di gioire del bene degli altri: “rallegratevi con quelli che sono nella gioia” (Rom. 12, 15). Se invece ci concentriamo soprattutto sulle nostre necessità, ci condanniamo a vivere con poca gioia.
3) Audacia e fervore
Nello stesso tempo la santità è PARRESIA, è audacia, è slancio evangelizzatore che lascia un segno in questo mondo. “Non abbiate paura” (Mc. 6, 50). “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt. 28, 20). Queste parole ci permettono di camminare e servire la Chiesa con quell’atteggiamento pieno di coraggio che lo Spirito Santo suscitava negli Apostoli spingendoli ad annunciare Gesù Cristo.San Paolo VI menzionava tra gli ostacoli dell’evangelizzazione proprio la carenza di PARRESIA, cioè la mancanza di fervore. Il Signore ci chiama a navigare al largo e a gettare le reti in acque profonde. Ci invita a spendere la nostra vita al suo servizio. Aggrappati a Lui, abbiamo il coraggio di mettere tutti i nostri carismi al servizio degli altri. È bene riconoscere la nostra fragilità, ma mettiamola nelle mani di Gesù e noi lanciamoci nella missione ricevuta in dono. Siamo fragili è vero, ma portatori di un tesoro che ci rende grandi e può rendere più buoni e più felici coloro che l’accolgono. Specialmente quando viviamo situazioni di scoraggiamento (malattia, vecchiaia, mancanza di vocazioni), abbiamo bisogno della spinta dello Spirito Santo per non essere paralizzati dalla paura e dai calcoli umani.Quando gli Apostoli provarono la tentazione dello scoraggiamento, si misero subito a pregare insieme chiedendo il dono della PARRESIA: “E ora Signore volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di proclamare con tutta franchezza la tua parola” (Atti 4, 29). E la risposta quale fu? “Quando ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono colmati di Spirito Santo e proclamavano la parola di Dio con franchezza” (Atti 4, 31).Dio è sempre novità e spinge ogni giorno a ripartire con coraggio, sempre confidando nel suo aiuto. Dopo la risurrezione, quando i discepoli partirono in ogni direzione, “il Signore agiva insieme con loro” (Mc. 16, 20).L’abitudine ci seduce e ci dice che non ha senso cercare di cambiare le cose, che non possiamo far nulla di fronte a certe situazioni, che è sempre stato così e che tuttavia siamo andati avanti ugualmente. Per abitudine, alcune volte, non affrontiamo più il male e permettiamo che le cose vadano come vanno, o come alcuni hanno deciso che debbano andare. Lasciamo che il Signore venga a risvegliarci, a dare uno scossone al nostro torpore, a liberarci dall’inerzia, dall’abitudinarietà.
4) In comunità
La santificazione è un cammino comunitario, da fare a due a due. In varie occasioni la Chiesa ha canonizzato intere comunità che hanno vissuto eroicamente il Vangelo o che hanno offerto a Dio la vita di tutti i loro membri.Vivere e lavorare con altri è senza dubbio una via di crescita spirituale. S. Giovanni della Croce diceva: “stai vivendo con altri perché ti lavorino e ti esercitino nelle virtù”. La vita comunitaria è fatta di tanti piccoli dettagli quotidiani. Questo lo ha vissuto anche Gesù nella vita comunitaria con i suoi discepoli e con la gente semplice del popolo. Il Papa vuole che ci soffermiamo a riflettere su come Gesù invitava i suoi discepoli a fare attenzione ai particolari: il piccolo particolare che si stava esaurendo il vino in una festa; il piccolo particolare che mancava una pecora; il piccolo particolare della vedova che offrì le sue due monetine; il piccolo particolare di avere olio di riserva per le lampade se lo sposo ritarda; il piccolo particolare di chiedere ai discepoli di vedere quanti pani avevano; il piccolo particolare di avere un fuocherello pronto e del pesce sulla griglia mentre aspettava i discepoli all’alba...La comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri, è luogo della presenza di Gesù Risorto che la santifica secondo il progetto del Padre. “Tutti siano una cosa sola; come tu Padre sei in me ed Io in te”.
5) In preghiera costante.- “Infine, - conclude il Papa - ricordiamo che la santità è fatta di apertura abituale alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione”. Il santo è una persona dallo spirito orante che ha bisogno di comunicare con Dio. Non c’è santità senza preghiera. San Giovanni della Croce raccomandava di procurare di stare sempre alla presenza di Dio. E perché questo sia possibile sono necessari momenti dedicati solo a Dio, in solitudine con Lui. Per Santa Teresa d’Avila la preghiera è “un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo essere amati”.Tutti abbiamo bisogno di questo silenzio carico di presenza adorante.La preghiera fiduciosa è una risposta del cuore che si apre a Dio a tu per tu, dove si fanno tacere tutte le voci per ascoltare la dolce voce del Signore che risuona nel silenzio. E solo in tale silenzio è possibile discernere, alla luce dello Spirito, le vie di santità che il Signore ci propone. Quindi per ogni discepolo è indispensabile stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui, imparare sempre.Papa Francesco ci ricorda, poi, che la preghiera dovrebbe essere sempre ricca di memoria. La memoria delle opere di Dio è alla base dell’esperienza dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. Se Dio ha voluto entrare nella storia, la preghiera deve essere intessuta di ricordi.Guarda la tua storia, quando preghi, e in essa troverai tanta misericordia. Nello stesso tempo questo alimenterà la tua consapevolezza del fatto che il Signore ti tiene nella sua memoria e non ti dimentica mai. Di conseguenza ha senso chiedergli di illuminare persino i piccoli dettagli della tua esistenza, che a Lui non sfuggono.Il Papa conclude questo quarto capitolo della sua esortazione, evidenziando come la lettura orante, meditata della Parola di Dio, più dolce del miele e spada a doppio taglio, ci permette di rimanere in ascolto di Gesù Maestro, affinché sia lampada per i nostri passi e luce sul nostro cammino. L’incontro con Gesù nelle s. Scritture conduce poi all’Eucarestia, dove la stessa Parola diventa presenza reale di Colui che è Parola vivente. E quando riceviamo la santa Comunione, rinnoviamo la nostra alleanza con Lui e gli permettiamo di trasformarci in Lui: “non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”.
Articolo tratto da: Myriam "Chiamati alla santità" (n. 1 del 2019)