I racconti della creazione del libro della Genesi (capp. 1 e 2) fanno parte del un grande affresco dei capitoli 1-11, nel quale sono rintracciabili le costanti del nostro mondo storico, della situazione permanente della terra e della nostra umanità. Due componenti radicalmente opposte tra loro confluiscono in questo affresco: prima di tutto, la rettitudine («tzedagah» = giustizia) della creazione, prodotta dall’iniziativa di Dio fin dal «principio», e in secondo luogo l’inquinamento della stessa creazione, prodotto dalla disobbedienza della libertà creata, che riduce in schiavitù tutto il creato, fin da «un principio» (1Gv 3,8; cf. Rm 8,19-23;11,32; Gal 3,22; ecc.). In questo articolo ci soffermeremo sulla prima parte, quella positiva: la Creazione.
La creazione come parola di salvezza
Ci possiamo chiedere perché i racconti della creazione sono stati volutamente posti all’inizio della Bibbia. Sappiamo, infatti, che il primo racconto – secondo la teoria delle fonti – apparterebbe alla tradizione sacerdotale, e quindi è un testo molto recente (di epoca post-esilica) rispetto ad altri testi, mentre il secondo racconto è più antico, datato all’epoca monarchica (tradizione Jahvista). La risposta è semplice: si tratta di una parola di salvezza, come lo è ogni pagina biblica. Questo lo si comprende precisando quando e come i maestri d’Israele sono pervenuti alla sua formulazione: non per via teoretica, che si interroga sulla struttura del reale, bensì per via traumatica, cioè nel momento della storia di Israele che coincide con la distruzione di Gerusalemme nel 587 a.C. ad opera di Nabucodonosor, e quindi in momento nel quale tutti i punti di riferimento sono venuti meno. Lungi dal rinnegare il Dio dell’esodo, Israele non solo ha riaffermato e radicalizzato la sua esperienza del Dio dell’esodo, ma l’ha universalizzata, giungendo all’affermazione paradossale che il Dio di Israele, lungi dall’essere stato sconfitto dal dio dei Babilonesi, come voleva la logica del tempo secondo la quale la sconfitta di un popolo coincideva con la sconfitta del suo dio, è il Dio di tutte le genti e della stessa potenza babilonese responsabile della distruzione di Gerusalemme. È questa la ragione per la quale il racconto della storia di Israele si apre con il racconto della creazione che, ultimo nell’ordine inventivo, è diventato primo nell’ordine espositivo.
In questo senso il racconto della creazione è un annuncio di salvezza. Agli esiliati tentati di pensare che, con la deportazione e l’esilio, Dio si era dimenticato del suo popolo, il profeta Isaia annuncia una parola di consolazione (capp. 40-55), dichiarando l’insostenibilità di questo modo di pensare: lungi dall’essere il segno della sconfitta di Dio e del fallimento di Israele che in lui aveva riposto la sua fiducia, la vittoria dei Babilonesi rientra essa stessa nel suo disegno perché egli – il Dio di Israele – è il signore che domina incontrastato su tutti i popoli e sulle cose stesse del mondo. Se signore di tutti e di tutto, Dio non si è dimenticato di Israele ma continua a stare al suo fianco, come ha fatto con la liberazione dall’Egitto e la traversata nel deserto, esigendo da lui, come sempre, la fede fiduciale e l’obbedienza operante. Affermazione della signoria universale di Dio, la creazione biblica è affermazione che, nel mondo, egli dispone amorevolmente di tutti e di tutto. La storia della salvezza non gli è sfuggita dalle sue mani, ma la governa secondo vie che solo lui conosce: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore» (Is 55,8).
Nella sua prima lettera Pietro, ai cristiani che soffrono ingiuste persecuzioni, scrive: «Perciò anche quelli che soffrono secondo il volere di Dio, si mettano nelle mani del loro Creatore fedele (pistos ktistês) con il fare il bene» (1Pt 4,19)[1].
Memore di quanto Gesù ha fatto sulla croce, quando ha messo il suo spirito nelle mani del Padre (Lc 23,46), l’apostolo esorta i cristiani perseguitati a ispirarsi all’esempio del Pastore e Vescovo delle nostre vite (1Pt 2,21.25). Il Padre è, dunque, il Creatore fedele.
Infine nella sua fedeltà il Creatore porterà a compimento l’opera della creazione e della salvezza, che costituiscono un tutt’uno. Le Scritture parlano di «nuovi cieli e nuva terra»[2], di una “creazione nuova”.
L’escatologia è già iniziata con il mistero pasquale. Si comprende come Pietro possa dire che non c’è altro nome, al di fuori di Gesù, che sia dato agli uomini sotto il cielo, in cui sia posta la nostra salvezza (cfr. At 4,10-12). Il fatto che l’escatologia sia già iniziata, ma non ancora compiuta, condiziona ovviamente il nostro cammino, lo rende più faticoso, lo limita fra le lentezze, le incomprensioni e le sordità. Per noi, però, valgono le parole di Col 3,1-4: «Se dunque siete risorti con Cristo (nella fede battesimale), cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alla cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio. Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria». Siamo perciò esortati a vivere il già dell’essere risorti con Cristo, anche se il compimento si avrà alla fine della storia, nell’escatologia.
Il creato bello e buono
Passiamo ora a contemplare come Dio crea; egli è colui che vuole sempre e solo il bene e il bello. Dalle sue mani può uscire solo bontà e bellezza.
a) Genesi 1,1-2,4a
• La prima e originaria componente del nostro mondo è l’iniziativa libera e gratuita di Dio, il quale ha creato e continua a creare il mondo bello e buono (= «tob»: Gen 1,4.10.12.18.21.25.31; cf. Es 2,2; At 7,20; Eb 11,23) e continua a mantenerlo nell’essere. • Agisce mediante lo Spirito Santo sul caos primordiale (thou whabou): “La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” (v. 2)[3]. È interessante l’arricchente traduzione che leggiamo nel targum di questo versetto (traduzione in aramaico del testo ebraico): “lo Spirito dell’amore dal volto di Dio soffiava sulle acque). Molto bella è anche la traduzione siriaca: “Lo Spirito di Dio covava sulle acque”; chiara allusione di una chioccia che cova le uova per esprimere l’idea che lo Spirito agisce sul thow whabou (rappresentato ciò che c’è all’interno dell’uovo fecondato) finché non prenda forma quell’opera meravigliosa e ordinata che è appunto la creazione.
È lo stesso Spirito che allude a una nuova creazione dopo il diluvio universale, il thow whabou dovuto al peccato dell’uomo (cfr. Gen 8,2).
È lo stesso Spirito che inaugurerà la storia della salvezza (senza lo Spirito Abramo non avrebbe potuto accogliere la chiamata di Dio e intraprendere il cammino dall’idolatria alla fede nel Dio che lo chiamava) e l’accompagnerà.
• La bellezza e bontà della creazione è il frutto di una duplice azione divina:
- quella di separare (o distinguere) un caos informe («tohu wa-bou»: Gen 1,2). Così Egli separa la luce dalle tenebre (v. 4), le acque che sono sopra il firmamento da quelle sotto il firmamento (v. 7); il mare dall’asciutto (vv. 9-10)
- quella di chiamare (per 7 volte) all’esistenza con la semplice sua parola. – la luce («sia la luce»: v. 4), il firmamento («sia il firmamento»: v. 6), la vegetazione sulla terra (vv. 11-12), le luci nel cielo (sole e luna) e le stelle (v. 14), i pesci e gli uccelli (vv. 20-21), gli esseri viventi sulla terra secondo la loro specie (vv. 24-25) e, infine, l’uomo (vv. 26-27) – e dare dei nomi alle creature: «chiamò la luce giorno e le tenebre notte» (v. 4); «chiamò il firmamento cielo» (v. 8); «chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare» (v. 10). Il nominare non significa solo esercitare un potere sulle cose, ma dare loro senso, fissare il loro significato primigenio e rivelarlo pubblicamente). Fa le creature secondo la loro specie, assegna loro dei fini, le colloca nel creato, le distribuisce, ed esse prendono forma, rispondendo alla potenza della sua parola. Il passaggio dall’«insensato» al «sensato» è la condizione indispensabile per la bellezza del mondo. Il caos diventa cosmo.
• L’armonia della creazione è anche simboleggiata dall’idea che nei primi tre giorni della creazione (essa è scandita sull’asse temporale di 7 giorni) Dio crea, per così dire, le “tre stanze” dell’universo (esso infatti immaginato come un palazzo a tre piani), ossia (partendo dall’alto) il cielo, la terra e gli inferi, mentre già nel terzo giorno e nei seguenti Dio si dedica ad “abbellire” tali stanze con le creature che pone in esse, ciascuna al suo posto: nel cielo pone il sole, la luna, le stelle e gli uccelli; sotto la terra pone gli animali marini; sulla terra pone gli animali terrestri e l’uomo. In quest’unica “stanza”, però, ha pensato ad una convivenza pacifica, armoniosa, tra l’uomo e gli animali; infatti assegna ai due una dieta diversa: all’uomo dà come cibo «ogni erba che produce seme… e ogni albero in cui è il frutto», mentre agli animali dà «ogni erba verde» (v. 29). Così non ci sarà alcun motivo di contrasto.
• Si è anche osservato che la perfezione delle creature è progressivamente ascendente nell’essere. Soltanto nel quarto giorno la benedizione di Dio raggiunge i viventi (Gen 1,22.28), dal momento che la vita e la facoltà di generare è un dono specialissimo di analoga partecipazione a una qualità propria di Dio: la Vita (Gen 2,2-3,9; cf. 3,22-24). • Alla fine del sesto giorno, la confusione inerte dell’inizio ha ceduto il posto alla bellezza delle schiere ben allineate del cielo e della terra. Il giudizio di Dio, che contempla la sua opera è questo: «è cosa buona» (cf. vv. 10; 12; 18; 21; 25). Le creature sono belle/buone, in esse Dio trova diletto, le ama. E in particolare si compiace della vita dell’uomo, creato ad essere «immagine e somiglianza» come coppia, nella dualità maschio e femmina. Agli occhi di Dio questa è molto buona. La dualità indica un compito e una vocazione da realizzare: diventare uno per comunione, come lo è Dio nella Trinità[4].• Un'osservazione del testo, ci sembra anche molto interessante: il numero che domina tutto lo schema è il 7 e anche le parole importanti ricorrono con questa frequenza: il v.1 ha 7 vocaboli; il v. 2 ne ha 14 (7+7); la formula «Dio vide che era cosa buona» ricorre 7 volte; «E così avvenne» torna 7 volte; «Dio fece» torna 7 volte; il nome di Dio ricorre 35 volte (7x5); termini importanti come «cielo», «firmamento» e «terra» tornano 21 volte ciascuno (7x3); l’ultima parte, quella che parla del settimo giorno, comprende tre affermazioni di 7 parole ciascuna (7+7+7). E siccome il 7 è il simbolo della perfezione, il narratore, con tale cura meticolosa del testo, ci vuole dire che la creazione che esce dalle mani di Dio è davvero una meraviglia.• Dio crea mediante la Parola («Dio disse») e lo Spirito, le “due mani” della creazione”. Parola e Spirito agiscono in maniera indissolubile. La parola di Dio è efficace: compie ciò che dice. Il Nuovo Testamento ci dirà che Gesù – Parola del Padre, il Verbo fatto carne - è il mediatore della creazione. Tutto fu fatto per mezzo di lui. In 1Cor 8,6 testo che raccoglie forse un’affermazione pre-paolina, leggiamo: «... per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui». Il Padre appare come la fonte ultima e Cristo è il mediatore, cioè per mezzo di lui tutto è stato fatto. Se la salvezza ha la sua origine fontale dal Padre («E’ stato Dio [Padre] infatti a riconciliare in sé il mondo in Cristo...» –2Cor 5,19) e si realizza mediante Gesù, lo stesso ordine si ha nella creazione: l’origine fontale rimane il Padre; e, come Cristo è mediatore nella salvezza, così la creazione avviene mediante il Figlio (cfr. anche Gv 1,3.10; Eb 1,2-3).
Si noti, a questo proposito, che la prima creatura della creazione è la luce: «Dio disse: “Sia la luce!” E la luce fu». Ma c’è qualcosa di strano in questo testo, perché non si sta parlando della luce del sole. Il sole verrà creato al quarto giorno. Allora a cosa si sta alludendo? A Cristo, Mediatore nella creazione e nella salvezza, che inviato dal Padre a vincere le oscurità del mondo, è luce per gli uomini. «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. […] Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui» (Gv 1,4-5.9-10). La luce vera. Gesù stesso dirà di sé: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). E San Paolo scriverà: «E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo» (2Cor 4,6). Ed esorterà i cristiani: «Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce» (Ef 5,8).
Di più: non solo Cristo è mediatore della creazione, ma è anche la causa finale (cfr. Col 1,15-20; 1,3-10. 22s; Rm 11,36): tutto il creato va verso di lui. Nella lettera ai Colossesi la relazione della creazione a Cristo viene espressa con tre preposizioni: in lui (v 19), per sottolineare che Cristo è il principio vitale di ogni creatura; per mezzo di lui (v. 16), per indicare che Cristo come mediatore della creazione; in vista di lui sono state create (v. 16), per presentare Cristo come fine di tutta la creazione.
Nella lettera agli Efesini Paolo afferma che il Padre crea con l’intenzione di ricapitolare ogni cosa in Gesù Cristo, facendoci figli nel suo Figlio (cfr. Ef 1,3-10.22s). Il Padre ha pianificato ogni cosa per poterci trasmettere la filiazione “adottiva”[5] in Gesù Cristo. Fin dall’eternità Dio ci ha predestinati «ad essere suoi figli adottivi, tramite Gesù Cristo» (Ef 1,5). Quando il Padre ha creato il mondo, ad animare la sua forza creatrice è stato un amore paterno che desiderava donare a se stesso dei figli nel Figlio unigenito, Cristo. Colui che ha creato il primo atomo o la materia che nella sua espansione ha formato lo spazio dell’universo, voleva fondamentalmente dare un posto in questo spazio ai propri figli. È l’opera creatrice di un Padre che ha voluto estendere la sua paternità a innumerevoli esseri e donare ad ognuno un amore personale. L’ordine della creazione e l’ordine della salvezza non si possono dunque separare. La creazione cammina verso Cristo perché il lui trova pienezza.
• La creazione è quindi un’opera Trinitaria. Nel secondo concilio di Costantinopoli (553) troviamo la formulazione: «Un solo Dio è Padre dal (™x) quale tutto procede, un solo Signore Gesù Cristo mediante (di¦) il quale tutto è stato fatto (cfr. 1Cor 8,6), uno Spirito Santo nel (en) quale tutto è stato fatto»[6].• Si noti anche che l’espressione «Dio disse» appare per 10 volte in questo brano. 10 volte come le “10 parole” d’amore dell’alleanza del Sinai (i “comandamenti”). Inoltre Dio pone le “condizioni” dell’alleanza subito dopo la creazione dell’uomo («del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete» - Gen 3,3). E infine Dio ha posto la creazione in 6 giorni per lasciare il sabato libero, segno del patto dell’alleanza (cfr. Es 19,3-6). Il sabato è il giorno del compimento della creazione e insieme il giorno della pienezza destinato all’uomo, cioè alla piena e definitiva comunione con Dio come chiaramente esorta Eb 4,1-11 («entrare nel riposo»). A questo settimo giorno della creazione si riferirà il comandamento biblico tramandatoci nel libro dell’Esodo: «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro» (Es 20,8-11).
In questa prospettiva dell’alleanza si può così meglio comprendere il senso teologico della creazione, cioè il suo essere finalizzato al patto di amore tra Dio e il suo popolo. Gli stessi profeti nell’AT usano il linguaggio di creazione per parlare dell’agire salvifico di Dio che con l’esodo “costituisce” e “forma” il suo popolo[7].
Questo forte riferimento all’alleanza ci deve stupire proprio perché questo testo della creazione risale alla scuola sacerdotale (periodo esilico)[8]. L’obbedienza alle “parole” di Dio significa ordine e vita: ordine nell’intero universo, facendo sì che dal caos emerga una realtà in cui è possibile vivere, e ordine e vita per l’uomo che vive l’alleanza. Il Salmo 19 sembra riprendere questo tema con un parallelo tra l’ordine della creazione e l’ordine che si compie nel cuore dell’uomo con l’osservanza della Legge del Signore.
In Cristo si compie la nuova alleanza. Nuova perché un popolo rinnovato nel cuore sarà fedele all’alleanza in Cristo; alleanza che si apre a tutte le nazioni: ebrei e pagani formano un solo popolo (Ef 2,14), un solo corpo (Ef 2,16), un solo tempio santo nel Signore, una sola dimora di Dio per mezzo dello Spirito (Ef 2,21-22).
• Dicendo che Dio creò ogni cosa in 7 giorni, si vuole dire: a) che anche il tempo è una creatura di Dio; b) che il tempo è l’ambito concreto, storico in cui l’uomo vive in relazione con Dio, è “sacro” perché Dio ha operato ed opera sempre. Dio non lo si incontra tanto nello spazio (es. nel tempio), quanto nel tempo. Lì è il luogo nel quale possiamo sempre incontrarlo.
Inoltre si noti noti l’armonia con la quale l’uomo vive nel creato, nel tempo: il sole segna gli anni, la luna i giorni e le stelle le feste liturgiche[9]. Se Dio lo si incontra nel tempo, per eccellenza le feste, la liturgia, è un “luogo” peculiare dell’incontro con Lui. La tradizione sacerdotale nel libro del Levitico dà molta importanza alle feste liturgiche. Se è vero che il cristiano è chiamato a dare a Dio un culto spirituale con la propria vita, ciò non diminuisce l’importanza della liturgia celebrata dalla Chiesa, in particolare quella celebrata nel giorno del Signore, la domenica, nella quale l’eucaristia è il “culmen et fons” della vita della Chiesa.
• Si noti che vi è anche una certa distribuzione che Dio fa del suo potere nella creazione, quasi un decentramento del suo ruolo di Creatore. Egli non crea, belli e fatti, tutti i viventi, le piante, gli animali, gli uomini, le donne possibili, ma dice: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie» (Gen 1,12). L’erba della terra, poi, e i frutti degli alberi sono destinati a nutrire i viventi.
Il creatore benedice gli esseri acquatici e i volatili, dicendo loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mare; gli uccelli si moltiplichino sulla terra» (Gen 1,22). E quanto all’uomo, Dio li benedice e dice loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra…» (Gen 1,28).
Le creature, dunque, collaborano nella creazione con il Creatore. Ed anche nell’opera della salvezza il Risorto, che ha ricevuto dal Padre “ogni potere in cielo e sulla terra” (Mt 28,18), quel potere universale che il diavolo falsamente gli offriva nella tentazione nel deserto in cambio di una prostrazione, rende partecipi gli apostoli (e la Chiesa intera) della sua missione salvifica: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 18,19-20). Portare gli uomini a Gesù vuol dire salvarli, vuol dire portarli alla vita.
b) Genesi 2,4b-25
Nel secondo racconto di creazione, più antico del primo, la dinamica del gesto creatore è concepita e descritta diversamente. Il primo racconto comincia dal caos e dalle minacciose acque primordiali. Nel secondo si parte dal più arido deserto, ostile alla vita, dove l’acqua è una benedizione. Il termine dell’azione creatrice è la trasformazione del deserto in un’oasi favolosa, ricca di acque e di minerali preziosi: un giardino in ‘Eden (gan-be‘Eden, interpretato come “delizia”), piantato da Dio, per collocarvi lo ‘Adam (l’uomo).
Con una simbologia più antropocentrica di quella del primo racconto troviamo qui il medesimo insegnamento: sotto l’azione divina il caos – non più quello acquatico, ma desertico – diventa cosmo per accogliere lo ‘Adam (cf. vv. 8.15-16).
La creazione dell’adam
a) Il racconto di Genesi 1,26-31
Nella scala progressiva delle opere dei primi sei giorni, la creazione giunge all’essere umano: ’Adam, ha’Adam, il fangoso, il terreno (Gen 1,26.27). Egli è fatto a immagine (selem) e somiglianza (demut) di Dio in due edizioni: maschile («zakhar») e femminile («neqevah») (Gen 1,27; 5,1-2; 2,18-25; Sap 2,23; 2Pt 1,4).
In ebraico il vocabolo immagine rimanda ad una statua che, nel realismo simbolico semitico, indica la vicinanza al soggetto raffigurato; il vocabolo somiglianza indica invece la distanza ed esclude l’identità totale. L’uomo è, perciò, la rappresentazione più somigliante di Dio che si possa concepire, ma non è Dio. E, come ogni rappresentazione non si può comprendere se non in rapporto al suo modello, così non si può comprendere l’uomo se non in rapporto e in dipendenza da Dio. È una creatura costitutivamente limitata (l’immagine ha in se stessa qualcosa di fragile, di debole, di corruttibile), ma allo stesso tempo ha in sé una valenza di eternità (il rapporto costitutivo con Dio che lo fa essere tale, l’Interlocutore per eccellenza dell’uomo).
Tutto l’uomo è immagine di Dio; lo è in tutta la sua realtà fisica e psichica. Ma il duplice Adam è chiamato a realizzare l’immagine di Dio, semplicissimamente e supremamente Uno (cf. Dt 6.4), mediante una mutua conoscenza e comunione d’amore («yada’»: Gen 4,1.17.25), in modo che i due sappiano diventare «una sola carne» («ba-sar»).
b) La creazione dell’uomo secondo Genesi 2,4b-25
Il documento jahwista, cui dobbiamo Gen 2,4b-25, concentra la sua attenzione sulla creazione dell’uomo. La centralità dell’uomo nel cosmo è evidente: il testo sottolinea come attorno a lui Dio crea il “giardino”[10].
La fede creazionistica di J vi appare con colori nitidi. L’uomo è un essere plasmato da Jhwh come la creta dal vasaio (2,7). È stato fatto con la polvere del suolo (Gen 2,7) e questo suo radicamento terreno (vedi la correlazione di 'adam - 'adamah: uomo-terra) lo rende essere mortale: «...finché tornerai nel suolo, perché da esso sei stato tratto, perché polvere sei e in polvere devi tornare!» (3,19).
L’uomo non ha in sé la sorgente della vita: egli attinge infatti la vita dal soffio di Dio. La chiave della sua esistenza non è quindi nelle sue mani. Dio solo possiede la vita in proprio (cf. Gen 3,22-24; 6,3). Che il frutto dell’albero della vita sia a disposizione dello ‘Adam (al centro del giardino: v. 9) sta a significare la sicura accessibilità dell’uomo alla vita, e al tempo stesso la sua precarietà. Per restare vivente, e immune perciò da ogni potere della morte («immortale»), basterà che egli non si allontani dal giardino (l’ambiente in cui il Creatore lo ha posto), rimanendo in comunione con il Signore che lo ha animato con il suo soffio e lo nutre con la sua ospitalità (cfr. Gen 3,22.24).
«Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato»” (v. 8). Qui Dio sembra un po’ un padre e una madre che con tanta cura prepara tutto il nuovo arrivato. Il creato è come una culla preparata con amore, un ambiente con tanti alberi e acqua abbondante per assicurare all’uomo la vita.
«Poi il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo…”» (v. 18). L’uomo creato (in ebraico “ish”) non fu felice perché non trovò «un aiuto che gli corrispondesse» (v. 20). Adamo è solo, la sua è una solitudine sofferta a cui non sa dare rimedio e risposta. L’uomo di solitudine muore. Allora Dio disse una sentenza: «non è bene che l’uomo sia solo, gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (Gen 2,18). Nel sonno, nel torpore, nel venir meno della coscienza, Dio opera e crea la donna. Solo al risveglio Adamo conosce colei che Dio ha posto accanto a lui. La conosce con meraviglia, favorevolmente “sorpreso”, perché «essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa». La sorpresa di Adamo descrive lo stupore dell’innamoramento. Innamorarsi è scoprire una prossimità tra uomo e donna assolutamente inaspettata, che essi riconoscono come donata. Il racconto della Genesi continua con la narrazione del riconoscimento della donna da parte dell’uomo. «Questa volta la si chiamerà donna» (in ebraico “ishsha” = uomo al femminile) (Gen 2,19). È insieme la decisione, l’atto della libertà, è il consenso alla vita con lei. L’uomo e la donna, qui concretamente il marito e la moglie, sono la versione maschile e femminile di un’unica realtà. Sono l’uno di fronte all’altra, ed entrambi davanti a Dio, in dignità “simile”, in esultante comunione di vita, in confidente reciproco aiuto.
Un’ulteriore riflessione sull’espressione un aiuto (per l'uomo, ma anche viceversa) che gli corrisponda» si impone. La parola ebraica “aiuto” appartiene al lessico dell'alleanza, e viene spesso riferita a Dio (“YHWH è mio aiuto”...); quindi “aiuto” indica il partner o alleato, ed esprime la relazione giusta che deve intercorrere tra l'uomo e la donna; nessuna fusione come sognata dall'amore romantico. L'alleato sta di fronte al partner in un reciproco rapporto d'amore nell'uguaglianza.
Anche il secondo termine biblico, kenegdô, che è reso dalla CEI con l'espressione “che gli corrisponda” è molto importante. Secondo una corrente interpretativa giudaica che arriva fino al grande commentatore Rashi (1040-1105), implica l'idea di un aiuto che la donna potrà dare all'uomo in quanto capace anche di opporsi a lui. Anche se non si deve esagerare, questa lettura rivela qualcosa di importante sulla dinamica maschile-femminile all'interno della coppia umana. Anche l'evitare che l'altro compia degli errori, che faccia delle cose non appropriate per sé o per gli altri, è un modo di amare.
«Per questo – commenta l’autore biblico - l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (v. 24). L’essere “una carne sola” è il progetto divino sulla coppia. Essere “una carne sola” è segno e vocazione di una chiamata all’Amore che viene da molto lontano, dalla sorgente stessa dell’amore (Dio) e che faticosamente si traduce nella vita nuova a cui i due danno origine. Il matrimonio, infatti, è sempre un inizio di qualcosa di diverso rispetto a prima, un compito da eseguire al di là delle istruzioni ricevute, un rischio da assumersi, un patto da rispettare: un’alleanza.
Sappiamo che Gesù, nella controversia con i farisei che volevano metterlo alla prova sul matrimonio risponde riprendendo questo versetto: «Dall’inizio (in principio) della creazione li fece maschio e femmina (cfr. Gen 1,27); per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre…» Mc 10,7-8; Mt 19,5-6. Quel «Dall’inizio (in principio)», che richiama il “In principio” di Gen 1,1, non riguarda solo un ordine temporale, ma anche intenzionale.
«Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna» (Gen 2,25). Il fatto che i due, pur nella loro nudità, al cospetto di Dio Creatore non provassero vergogna non è da comprendere secondo una mentalità puritana. La nudità, nel linguaggio biblico, non ha nulla a che fare con la sfera della sessualità ma è la condizione di chi si riconosce povero e bisognoso. Questa coppia, all’inizio della sua storia, posta davanti a Dio, è consapevole della propria condizione di inesperienza e di incapacità, ma non per questo “ne provavano vergogna”. Cioè non ne erano confusi e scoraggiati, non si sentivano umiliati e amareggiati. Anzi! La meravigliosa scoperta che avevano fatto l’uno dell’altra, lo sguardo compiacente di Dio che si posava su di loro, l’avvenire nuovo che avevano davanti... tutto infondeva forza e ispirava fiducia. Erano sereni e confidenti, nonostante il senso della loro iniziale inadeguatezza. Affrontavano la loro vita insieme con slancio fiducioso.
La relazione dell’adam con la terra
L’Adam giusto - maschile e femminile - così come il Signore Dio lo ha fatto, e lo continua a volere, a fare e a collocare nel mondo bello e buono creato da lui (cf. Gen 2,15), è strutturato secondo tre relazioni fondamentali:
1) Al di sopra, con il Signore Dio, secondo un rapporto di adorazione, di ospitalità e di amicizia riverente e obbediente (Gen 1,28-30; 2,16-17; 3,8-9). Il nome del Creatore è duplice: Elohim («Dio») in Gen 1,1-2,4 e JHWH («il Signore», Adonay) in Gen 2,4-25 (cf. Gen 4,26).
2) Al suo fianco (Gen 2,21), con l’altro termine dell’«Adam», il suo simile, che sempre gli sta di fronte per aiutarlo (Gen 2,18.20): il «vir» («ish», maschio, «uomo») rivolto verso la «virago» («ishshah», femmina, «donna»), e viceversa. Il Creatore li ha consegnati e li consegna l’uno all’altra per una comunione d’amore (Gen 2,22), in mutua e totale fiducia, significata dalla loro nudità senza imbarazzo (Gen 2,25).
Questa coppia originaria e primordiale (cf. Sir 42,22-25) sta a significare anche l’essenziale relazione di ciascuno di noi (uomo o donna) con il suo simile (donna o uomo); e dunque pure del fratello/sorella con il fratello/sorella (cf. Gen 4), all’interno della grande comunità umana, che appunto è fatta per essere elevata fino all’unità mediante una comunione di amore. La piena immagine di Dio, un compito da realizzarsi da tutti gli esseri umani, è l’intera umanità divenuta comunità umana. Di questo «divenire uno» di tutti gli uomini la Chiesa è, fin d’oggi, fragile ma sicuro sacramento, povera ma chiara profezia. L’ultimo sigillo, poi, di questo testo genesiaco verrà aperto dall’Agnello immolato e vittorioso con la rivelazione inaspettata di come Dio sia uno in noi, comunione di conoscenza e di amore, di luce e di fuoco.
3) Al di sotto, con la terra e con i suoi beni. La terra, così come Dio l’ha creata, e continua a uscire ogni giorno dalla sua volontà, è un «giardino di delizie» («gan-Eden»: Gen 2,15; 3,23-24), e il duplice Adam vi è posto da Dio, perché lo coltivi «‘avad»: il verbo ebraico che designa pure il «culto del Signore Dio») e lo custodisca «shamar»: Gen 2,15): una destinazione al lavoro, inteso come missione cultica, assegnata da Dio all’umanità, da realizzarsi mediante l’interpretazione (= i nomi da assegnare: Gen 2,19-20) e l’utilizzazione ecologica del creato, sotto lo sguardo benevolo del Creatore (Gen 1,29-30; 2,18; 3,8-9). Se, infatti, il mondo è stato donato da Dio all’uomo, Dio coinvolge l’uomo – creato a sua immagine e somiglianza – nella sua volontà di donazione: non solo destinatario che riconosce e ringrazia perché tutto è grazia, bensì suo partener che con-crea con Lui il mondo ridonandolo agli altri esseri umani. Allora con tutta la creatività, l’ingegno dell’uomo, il mondo creato “sette volte buono”, cioè totalmente buono, è posto nelle mani dell’uomo perché esso venga perfezionato al servizio degli altri uomini nella fraternità.
È da notare che, per quanto riguarda il nutrimento, in Gen 1,29-30 risulta che tutti gli esseri viventi sono vegetariani (1,29-30). Gli animali e gli uomini però non mangiano le stesse piante, poiché l’erba come tale è riservata ai primi, mentre le piante con semi e gli alberi con frutti saranno il cibo degli uomini. Non vi sarà quindi alcuna occasione di conflitto fra questi esseri viventi. Almeno, questo era il disegno divino per evitare ogni tipo di violenza. L’universo del racconto sacerdotale della creazione è un universo armonioso e pacifico.
Profezia di Cristo e della Chiesa
Abbiamo già visto che nel secondo racconto (Gen 2,4b-25) si racconta che la donna viene tratta dall’uomo. Dio fece cadere sull’uomo un sonno profondo, tardēmāh, reso dalla LXX con éks asis, che, letteralmente, significa «uscita da sé». Il termine ṣēlā, in greco pleurá, vuol dire costola ma anche fianco, e, deriva dal sumerico ti (o til), che significa sia costola che vita7. Secondo l’esegeta Rashi (1040-1105), ṣēlā è da leggersi in riferimento al «secondo lato della Dimora» (Es 26,20). Si tratta della Tenda della Testimonianza o Tabernacolo oppure Tenda di YHWH (ōhel YHWH), cioè, il santuario portatile, in cui era custodita l’Arca dell’alleanza (che a sua volta conteneva le due tavole della Legge), segno della presenza della gloria di YHWH in mezzo al suo popolo (cioè, la Shekhinah), e che verrà, poi, sostituito dal Tempio di Salomone a Gerusalemme.
Ora possiamo vedere questa tenda una prefigurazione della vera Tenda: «Il Verbo si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,4), e del vero tempio: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Ma egli parlava del tempio del suo corpo (Gv 2,19-21).
Secondo il profeta Ezechiele dal lato destro del tempio esce un fiume d’acqua abbondante, che dà vita (Ez 47,1); è prefigurazione di ciò che avverrà sulla croce: «Uno dei soldati con un colpo di lancia gli trafisse il fianco (pleura) e ne uscì subito sangue ed acqua» (Gv 19,34).
Cristo, prefigurato nell’adam, è il vero tempio, nel quale si consuma il sacrificio perfetto, che cancella i nostri peccati. È lui la vera Tenda che dimora tra gli uomini, il vero Tempio fatto dal Signore e innalzato sulla croce, dal cui fianco (lato destro del tempio, Ez 47,1) scaturisce sangue ed acqua. Osservando in filigrana le prefigurazioni – cioè, i tipi o le ombre – scorgiamo la realtà vera, cioè, il corpo di Cristo. Come dal fianco di Adamo, caduto in un sonno profondo, in estasi («uscita da sé»), Dio trae la donna (che, poi, sarà chiamata Eva, cioè, vita, poiché è la madre di ogni vivente), così dal fianco squarciato del vero Adamo, innalzato sulla croce, nasce la Chiesa sua Sposa, che, mediante l’acqua e il sangue, segni del Battesimo e dell’Eucarestia, genera nuovi figli di Dio, per cui essa è la vera «Madre dei viventi». L’unione tra Cristo e la sua Chiesa è tale da formare una sola carne, un solo corpo, di cui Cristo è il capo e noi le membra.
Se, dunque, Adamo è, «figura di colui che doveva venire» (Rm 5,12), cioè, di Cristo, Eva è figura della Chiesa, cioè, della comunità dei credenti che aderiscono a Cristo, mediante il suo sacrificio, formando con lui una sola carne, un solo Corpo mistico. Come l’uomo si unisce alla donna e i due diventano una sola carne, così il Verbo si fa carne (Gv 1,14), sposa la natura umana per sempre, secondo quanto sta scritto: «Il Cristo rimane in eterno» (Gv 12,34). Perciò, la Scrittura dice: «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie» e, poi, «i due saranno un’unica carne» (Gen 2,24). Generalmente era la donna che lasciava la casa di suo padre per entrare nella casa di suo marito. Qui, invece, è l’uomo, che abbandona suo padre e sua madre per unirsi per sempre alla sua donna; è l’uomo che va verso la donna, come nel Cantico: «Lo strinsi forte e non lo lascerò, finché non l’abbia condotto nella casa di mia madre, nella stanza di colei che mi ha concepito» (Ct 3,4).
[1] Cfr. 1Pt 2,15-20; 3,6.13-17.
[2] Cfr. Is 65,7; 66,22; 2P 3,13; Ap. 21,1.
[3] L’idea della creazione delle cose «dal nulla» apparirà più tardi, quando la Sapienza di Israele incontererà la sohia ellenistica. La creazione delle cose «dal nulla» esprime una grande verità: che la libertà di Dio nella creazione è una libertà assoluta: ha creato senza costrizione, cioè senza necessità interna (Dio non ha bisogno di uscire da se stesso per perfezionarsi. Egli ha in se stesso la pienezza) né esterna. Troviamo un chiaro riscontro nella Scrittura: «Egli ha fatto tutto ciò che ha voluto» (Sal 115,3); «Tutto ciò che è piaciuto al Signore egli lo ha fatto, in cielo e in terra» (Sal 135,6); «Dio che opera tutto secondo il disegno della sua volontà»; «Le cose esistono e hanno avuto origine in forza della sua volontà» (Ap 4,11).
Nel NT troviamo, curiosamente, solo un testo in cui si parla della creazione dal nulla, legandola alla fede di Abramo e, in ultima istanza, alla fede nella risurrezione di Gesù: «[Abramo è nostro padre] davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono» (Rm 4,17).
[4] Si noti quel “noi” del testo biblico: «Facciamo l’uomo a nostra immagine». Può essere semplicemente spiegato come un noi maiestatico. Ma i padri della Chiesa hanno visto in quel noi anche un riferimento alla vita trinitaria.
[5] In realtà essere figli nel Figlio non vuol dire essere “figli adottivi”. Significa piuttosto che il Padre, come ha generato Gesù nella morte, costituendolo «Figlio di Dio nella potenza secondo lo spirito di santificazione» (Rm 1,3s; cfr. anche At 13,33: «Dio ha fatto risorgere Gesù, com’è scritto nel salmo secondo: “Tu sei mio Figlio, oggi ti genero”», genera anche noi come figli. Ci risuscita con Lui, non ci adotta, ci genera. Giacché in Cristo la risurrezione non è un’adozione. Dio è Padre-Creatore, non Padre adottivo: «Siamo sua opera, creati in Cristo Gesù» (Ef 2,10).
Poco prima, in Rm 8,15, Paolo usa un’espressione che solitamente viene tradotta: «spirito di figli adottivi», e che sembra contraddire quanto appena detto. Ugualmente Gal 4,5 viene spesso tradotto: «Dio inviò suo Figlio perché ricevessimo l’adozione a figli». Il termine usato da Paolo (uiothesía) significa «adozione» nel greco profano. Ma Paolo intende la parola nel suo senso etimologico: atto che rende figlio, filiazione. Lui non pensa a un’adozione: «Dio inviò il Figlio suo… affinché ricevessimo la filiazione, e figli veramente siete». E’ vero, la filiazione dei fedeli è diversa da quella di Cristo. Giovanni ne fa sentire la differenza con il vocabolario che gli è abituale: Gesù è «il Figlio», i fedeli sono «i figli». In noi, tuttavia, la filiazione è reale: «Ascendo al Padre mio e Padre vostro» (Gv 20,17). I fedeli non sono figli per adozione, ma per partecipazione a colui che è «il primogenito di molti fratelli» (Rm 8,29).
[6] Denzinger-Schónmetzer (=DS), 421.
[7] Cfr. ad es. Is 43.1.7.15; 44,24; 45,8; 51,9; Sal 95; 104-105; 136; Am 4,13; 5,8s; 9,5s; Ger 32,17; 33,2; Prov. 8,22; Sap 13,1-5.
[8] La tradizione P (o Codice Sacerdotale - Priestercodex) raccoglierebbe testi anche molto antichi, ma sviluppati in epoca post-esilica. Riguarda essenzialmente norme liturgiche e rituali. È predominante nel Levitico.
[9] Si noti che troviamo la categoria nel tempo nel primo giorno (Dio separa la luce dalle tenebre – v. 3 -, ossia dà inizio ai “giorni”), nell’ultimo giorno (il settimo: il sabato, creatura “speciale”) e, al centro, nel quarto, ove si ha la creazione del sole, della luna e delle stelle. Per la Bibbia il tempo (che è una creatura) è molto importante, perché in esso si può incontrare Dio.
[10] L’origine del mondo abitato, concepita come trapasso da un arido deserto a un’oasi allietata dal verde e dall’acqua (Eden), è il “luogo” di vita nel quale Dio pone l’uomo.