Segreteria del Santuario
In preparazione al Giubileo 2025 - Anno della preghiera
“La preghiera è il respiro della fede, è la sua espressione più propria. Come un grido silenzioso che esce dal cuore di chi crede e si affida a Dio”. Papa Francesco
«Non si tratta di un Anno con particolari iniziative, piuttosto, di un momento privilegiato in cui riscoprire il valore della preghiera, l’esigenza della preghiera quotidiana nella vita cristiana; come pregare, e soprattutto come educare a pregare oggi, nell’epoca della cultura digitale, in modo che la preghiera possa essere efficace e feconda», ha tenuto a sottolineare il pro-prefetto. Per rispondere a tale esigenza, il Dicastero ha predisposto alcuni strumenti che possono accompagnare la meditazione e la lettura per comprendere meglio il valore della preghiera.
Mons. Fisichella
Il rosario dei Santi - Santi Francesco e Giacinta Marto
La preghiera del Rosario, nel Messaggio di Fatima è la più richiesta. La Beata Vergine Maria ha chiesto di pregare il Rosario tutti i giorni in tutte e sei le volte che apparve."Recitate il Rosario tutti i giorni per ottenere la pace per il mondo e la fine della guerra”.
Nessun'altra devozione nella Chiesa è stata più raccomandata come questa, dai Papi.
Il Rosario semplice è composto da cinque decine; ciascuna decina (Mistero) è recitata in onore della vita di Nostro Signore e di Sua Madre, partendo dall'Annunciazione e finendo con l'Incoronazione di Maria in cielo.
Una decina è composta da un Padre Nostro, dieci Ave Maria, un Gloria al Padre e la preghiera che Nostra Signora insegnò ai Pastorelli di Fatima.
3 Febbraio ore 18,00
Jacinta: “Oggi ho visto la Madonna”. Francisco: “Fra poco vado in Cielo. Lassù almeno potrò meglio consolare il Cuore di Gesù e di Nostra Signora”
Francisco e Jacinta Marto sono i più piccoli dei sette figli di Manuel Pedro Marto e Olimpia de Jesus, abitanti della parrocchia di Fatima, nel comune di Vila Nova di Ourém, nella Diocesi di Leiria, in Portogallo.
Francisco - nacque l’11 giugno 1908 nella casa paterna, in località Aljustrel, e fu battezzato il 20 dello stesso mese presso la chiesa parrocchiale di Fatima. Sua sorella Jacinta nacque l’11 marzo 1910, anch’ella nella casa dei genitori, e ricevette il battesimo il 19 dello stesso mese presso la chiesa parrocchiale.
Crebbero in un ambiente familiare di condizioni modeste, in un paese agricolo, tranquillo e separato da un Portogallo che viveva in fermento politico e sociale.
I fratelli non frequentarono la scuola. Non sapevano né leggere né scrivere e conoscevano poche nozioni della geografia, della storia e del pensiero del mondo che stava al di là delle loro montagne. La loro educazione cristiana fu molto semplice: appresero il catechismo in casa o con la zia, la madre della loro cugina Lucia che, insieme a loro, sarà una dei veggenti di Fatima.
I genitori diedero loro con la vita anche un esempio di fede impegnata: la partecipazione domenicale all’Eucaristia, la preghiera in famiglia, la verità e il rispetto per tutti, la carità verso i poveri e verso chi era nel bisogno. Ancora piccoli iniziarono a prendersi cura del gregge dei loro genitori: Francisco aveva allora 8 anni e Jacinta 6. Trascorrevano la maggior parte delle loro giornate svolgendo il compito di badare alle pecore, insieme alla cugina Lucia, anche lei pastorella.
Nel 1916, in primavera, estate e autunno, insieme a Lucia, ebbero le apparizioni dell’Angelo della Pace. Nel 1917 furono visitati dalla Madonna del Rosario, da maggio a ottobre il giorno 13 di ogni mese, tranne che in agosto. In questo mese l’apparizione avvenne il 19, dal momento che i Pastorelli erano rimasti nella prigione di Ourém dal 13 al 15 agosto 1917.
Dalla figura di Francisco emerge il suo carattere calmo e pacifico. Lo si ricorda pieno di ammirazione per il creato nel quale gustava la bellezza del Creatore. La pace che da ciò attingeva la trasmetteva poi ai suoi amici, tra i quali sapeva essere segno di concordia, anche quando succedevano liti o offese.
Dopo le apparizioni dell’Angelo e della Madonna svilupperà uno stile di vita caratterizzato dall’adorazione e dalla contemplazione. Ogni volta che gli era possibile si rifugiava in qualche luogo isolato per pregare da solo. Spesso trascorreva lunghe ore nel silenzio della chiesa parrocchiale, vicino al tabernacolo, per fare compagnia a Gesù nascosto. Nella sua intimità con Dio, Francisco intravede un Dio rattristato dalle sofferenze che ci sono nel mondo, soffre insieme a Lui e desidera consolarLo. Il ragazzo, che non sentiva la voce dell’Angelo e della Signora, ma li vedeva solamente, è tra i tre veggenti il più contemplativo. Nella sua vita si evidenzia come la preghiera sia alimentata dall’ascolto attento del silenzio nel quale Dio parla. Egli si lascia inabitare dalla presenza ineffabile di Dio – «Io sentivo che Dio era dentro di me, ma non sapevo come fosse!» – ed è a partire da questa presenza che accoglie anche gli altri nella sua preghiera. La vita di fede di Francisco è una vita di contemplazione.
Nell’ottobre del 1918 si ammala durante un’epidemia di broncopolmonite. Si aggrava progressivamente fino all’aprile del 1919. Il 2 aprile si confessa e il giorno seguente riceve, in casa sua, il Viatico. Il giorno dopo, il 4 aprile, verso le 22.00, muore serenamente, in casa, circondato dai familiari.
Viene sepolto nel cimitero di Fatima il 5 aprile 1919. Il 13 marzo 1952 i suoi resti mortali vengono traslati nella Basilica della Beata Vergine del Rosario di Fatima.
Mons. José Alves Correia da Silva, vescovo di Leiria, apre, il 30 aprile 1952, il Processo Informativo sulla fama di santità e le virtù di Francisco Marto. Il Processo si è concluso il 1° agosto 1979.
Venne beatificato da S. Giovanni Paolo II il 13 maggio 2000 a Fatima, assieme alla sorella Jacinta.
Jacinta - aveva un carattere affettuoso ed espansivo, anche se un po’ capriccioso. Nutriva un affetto particolare per la cugina Lucia ed aveva una sensibilità molto delicata, che si lasciava toccare tanto dalla bellezza della natura quanto dalla sofferenze dei poveri e dei malati.
Colpita dalle apparizioni dell’Angelo e della Madonna, si lascia impressionare soprattutto dalle sofferenze dei “poveri peccatori” e dalla missione e sofferenza del Santo Padre. Di fatto, dopo questi incontri con il Cielo, il suo carattere capriccioso ed egocentrico lascerà il posto ad un cuore generoso, dimentico di se stesso e che vive piuttosto per il bene degli altri, offrendo preghiere e sacrifici a beneficio di tutti coloro che ella vede soffrire.
Il profilo spirituale di Jacinta è in tal modo contraddistinto dalla generosità della fede e della donazione di sé per gli altri. Esprime spesso il suo desiderio di condividere con tutti quell’amore ardente che sente per i cuori di Gesù e di Maria. Tutti gli aspetti particolari della sua giornata, comprese le sofferenze dovute alla successiva malattia, sono un’occasione di offerta a Dio per la conversione dei peccatori e per il Santo Padre. Divide la sua merenda con i poveri, offrendo così il sacrificio del suo digiuno come segno della sua disponibilità ad essere totalmente di Dio in favore degli altri. Nelle sue memorie Lucia dice di lei che pregare e soffrire per amore «era il suo ideale, era ciò di cui parlava». La vita di fede di Jacinta è una vita di compassione.
Al termine del 1918 Jacinta si ammala di broncopolmonite. Rimane ricoverata all’Ospedale di Vila Nova di Ourém dal 1° luglio al 31 agosto 1919. Da quel giorno le rimane una piaga sul fianco sinistro del petto. Ritorna a casa in condizioni peggiori di salute.
Nel gennaio del 1920 la portano a Lisbona perché sia curata nel miglior ospedale pediatrico dello Stato, l’Ospedale D. Estefania.
Tra il 21 gennaio e il 2 febbraio 1920 risiede presso l’Orfanotrofio della Beata Vergine dei Miracoli, dove passa molte ore in adorazione del Santissimo Sacramento.
Il 2 febbraio 1920 viene ricoverata con una diagnosi di pleurite purulenta e osteite a due costole. Si decide per un intervento chirurgico, nonostante Jacinta insista nel dire che è inutile.
Viene operata il 10 febbraio 1920, le vengono asportate due costole, ma rimane la grande ferita nel fianco sinistro del torace.
Nel pomeriggio del 20 febbraio Jacinta chiede di ricevere i sacramenti, soprattutto la comunione eucaristica. Il cappellano dell’ospedale rimanda al giorno dopo, anche se la fanciulla insiste che possa riceverli il giorno stesso. Muore, da sola – come le aveva detto la Madonna – il 20 febbraio 1920 alle 22.30.
Viene seppellita il 24 febbraio nel cimitero di Ourém in una tomba messa a disposizione dai Baroni di Alvaiazere.
Il 12 settembre 1935 le sue spoglie sono trasportate nel cimitero di Fatima e il 1° maggio 1951 traslate nella Basilica della Beata Vergine del Rosario di Fatima.
Mons. José Alves Correia da Silva, vescovo di Leiria, il 30 aprile 1952 apre il Processo Informativo sulla fama di santità e le virtù di Jacinta Marto. Il Processo si è concluso il 2 giugno 1979.
Venne beatificata da S. Giovanni Paolo II a Fatima il 13 maggio 2000, assieme al fratello Francisco.
Catechesi Biblica - Davide peccatore e credente 2 Sam 11-12
“La collera del Signore si accese di nuovo contro Israele e incitò Davide contro il popolo in questo modo: “Su, fa’ il censimento d’Israele e di Giuda”. Il re disse a Ioab e ai suoi capi dell’esercito: “Percorri tutte le tribù d’Israele, da Dan fino a Bersabea, e fate il censimento del popolo, perché io conosca il numero della popolazione”. Ioab rispose al re: “Il Signore tuo Dio moltiplichi il popolo cento volte più di quello che è, e gli occhi del re mio signore possano vederlo! Ma perché il re mio signore desidera questa cosa?”. Ma l’ordine del re prevalse su Ioab e sui capi dell’esercito e Ioab e i capi dell’esercito si allontanarono dal re per fare il censimento del popolo d’Israele. Passarono il Giordano e cominciarono da Aroer e dalla città che è in mezzo al torrente di Gad e presso Iazer. Poi andarono in Gàlaad e nel paese degli Hittiti a Kades; andarono a Dan. Poi girarono intorno a Sidòne; andarono alla fortezza di Tiro e in tutte le città degli Evei e dei Cananei e finirono nel Negheb di Giuda a Bersabea. Percorsero così tutto il paese e dopo nove mesi e venti giorni tornarono a Gerusalemme. Ioab consegnò al re la cifra del censimento del popolo: c’erano in Israele ottocentomila guerrieri che maneggiavano la spada; in Giuda cinquecentomila.
Ma dopo che Davide ebbe fatto il censimento del popolo, si sentì battere il cuore e disse al Signore: “Ho peccato molto per quanto ho fatto; ma ora, Signore, perdona l’iniquità del tuo servo, poiché io ho commesso una grande stoltezza”.
Ore 15.30 Sala Cuore Immacolato - Padre Michele Babuin omv
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Per maggiori informazioni ci si può rivolgere all’ufficio Direzione ed Accoglienza del Santuario negli orari di apertura, oppure inviare un whatsapp a P. Michele stesso (339 4779599).
In cammino verso il Giubileo - 2024 - Anno della Preghiera
Dopo l'anno dedicato alla riflessione sui documenti e allo studio dei frutti del Concilio Vaticano II, il 2024, su proposta di Papa Francesco sarà l'anno della Preghiera. In preparazione al Giubileo, le Diocesi sono invitate a promuovere la centralità della preghiera individuale e comunitaria. Per questo si potrebbero proporre "pellegrinaggi di preghiera" verso l'Anno santo, percorsi di scuola di orazione con tappe mensili o settimanali, presiedute dai Vescovi, in cui coinvolgere tutto il Popolo di Dio. Inoltre, per vivere al meglio questo anno, il Dicastero per l'Evangelizzazione pubblicherà una collana di "Appunti sulla preghiera", per rimettere al centro la relazione profonda con il Signore, attraverso le tante forme di preghiera contemplate nella ricca tradizione cattolica.
Nella preparazione al Giubileo del 2025 inizia la "tappa" dedicata al cuore della vita cristiana: la relazione con Dio.
“In questo tempo di preparazione, fin da ora mi rallegra pensare che si potrà dedicare l’anno precedente l’evento giubilare, il 2024, a una grande ‘sinfonia’ di preghiera”, l’auspicio di Francesco: “Anzitutto per recuperare il desiderio di stare alla presenza del Signore, ascoltarlo e adorarlo. Preghiera, inoltre, per ringraziare Dio dei tanti doni del suo amore per noi e lodare la sua opera nella creazione, che impegna tutti al rispetto e all’azione concreta e responsabile per la sua salvaguardia. Preghiera come voce ‘del cuore solo e dell’anima sola’ (cfr At 4,32), che si traduce nella solidarietà e nella condivisione del pane quotidiano. Preghiera che permette ad ogni uomo e donna di questo mondo di rivolgersi all’unico Dio, per esprimergli quanto è riposto nel segreto del cuore. Preghiera come via maestra verso la santità, che conduce a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione. Insomma, un intenso anno di preghiera, in cui i cuori si aprano a ricevere l’abbondanza della grazia, facendo del Padre nostro, l’orazione che Gesù ci ha insegnato, il programma di vita di ogni suo discepolo”.
Maria Santissima Madre di Dio
"Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l'animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all'opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente" (Lumen Gentium, 56).
“Il Concilio di Efeso (431), durante il quale, con grande gioia dei cristiani, la verità sulla divina maternità di Maria fu confermata solennemente come verità di fede della Chiesa. Maria è la Madre di Dio (= Theotókos), poiché per opera dello Spirito Santo ha concepito nel suo grembo verginale e ha dato al mondo Gesù Cristo, il Figlio di Dio consostanziale al Padre. «Il Figlio di Dio…, nascendo da Maria Vergine, si è fatto veramente uno di noi», si è fatto uomo. Così dunque, mediante il mistero di Cristo, sull’orizzonte della fede della Chiesa risplende pienamente il mistero della sua Madre. A sua volta, il dogma della maternità divina di Maria fu per il Concilio Efesino ed è per la Chiesa come un suggello del dogma dell’incarnazione, nella quale il Verbo assume realmente nell’unità della sua persona la natura umana senza annullarla.” (Santo Padre Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptoris Mater, n. 4, 25 marzo 1987).
Sante Messe ore 9,00 - 10,30 - 12,00 - 16,30 - 18,00 - rosario 16,00
Tempo di Natale - Celebrazioni Eucaristiche
-24 Dicembre 2023-
Sante Messe ore 9,00 - 10,30 - 12,00 - 16,30
Messa delle 16,30 prefestiva del Natale
Messa della notte ore 23,30
25 Dicembre Natale del Signore
Sante Messe ore 9,00 -10,30 -12,00 - 16,30 -18,00 - Rosario ore 16,00
26 Dicembre Santo Stefano
Sante Messe ore 9,00 - 10,30 - 12,00 -17, 00 - Rosario ore 16,30
31 Dicembre ultimo giorno dell'anno
Sante Messe ore 9,00 - 10,30 -12,00 - 16,30 -18,00 - Rosario ore 16,00
La messa delle ore 16,30 e 18.00 prefestiva della Madre di Dio e canto del Te Deum
1 Gennaio Santa Madre di Dio
Sante Messe ore 9,00 -10,30 -12,00 -16,30 -18,00 - Rosario ore 16,00
Nel Natale noi incontriamo la tenerezza e l’amore di Dio che si china sui nostri limiti, sulle nostre debolezze, sui nostri peccati e si abbassa fino a noi. San Paolo afferma che Gesù Cristo «pur essendo nella condizione di Dio… svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7). Guardiamo alla grotta di Betlemme: Dio si abbassa fino ad essere adagiato in una mangiatoia, che è già preludio dell’abbassamento nell’ora della sua passione. Il culmine della storia di amore tra Dio e l’uomo passa attraverso la mangiatoia di Betlemme e il sepolcro di Gerusalemme. Benedetto XVI
Il Natale nel pensiero e nella vita di alcuni santi
Un’attenzione particolare verso il Santo Natale lo ebbe anche san Gaetano di Thiene (1480-1547), fondatore dell’Ordine dei Chierici regolari teatini. Nella Santa Notte del 25 dicembre 1516 celebrò la sua prima Messa nella basilica di Santa Maria Maggiore in Roma. Durante la celebrazione della Messa, gli apparve la Beata Vergine, che gli pose fra le braccia il Bambino Gesù. Egli si trovava precisamente nella cappella del Presepio, quando ad un certo punto, rapito da acceso amore e trasporto per la Madre di Dio e il Figlio, si protese con le braccia verso le loro immagini: fu allora che Maria Santissima posò sulle sue braccia tese il Bambino Gesù. In un libro del Settecento è presentato come colui che diede origine alla tradizione di allestire il presepe nella Chiesa e nella case private. Il ricordo di San Gaetano nello sviluppo della devozione presepiale a Napoli detiene un posto privilegiato.Ma come non posare la nostra attenzione su sant’Alfonso de’ Liguori. Sui monti sopra il golfo di Amalfi egli vide la miseria dei pastori e dei contadini non raggiunti da alcuna istruzione religiosa. Compose allora Tu scendi dalle stelle, un canto natalizio presto divenuto caro alla devozione popolare. Nel libro Novena del Santo Natale con le meditazioni per tutti i giorni dell’Avvento sino all’ottava della Epifania, scrisse: «Molti cristiani sogliono per lungo tempo avanti preparare nelle loro case il presepe per rappresentare la nascita di Gesù Cristo; ma pochi sono quelli che pensano a preparare i loro cuori, affinché, possa nascere in essi e riposarsi in Gesù Cristo. Tra questi pochi però vogliamo essere ancora noi, acciocché siamo fatti degni di restare accesi di questo felice fuoco, che rende le anime contente in questa terra e beate in cielo».Sant’Alfonso propose una serie di meditazioni di profonda spiritualità, che continuano ad intendere nel modo più vero che cosa sia il Natale e come debba essere vissuto in spirito soprannaturale.
Non è il Natale di Bauli, delle vetrine, delle luci, del cenone; è il Natale di Nostro Signore che incarnandosi da ricco che era si fece povero per la nostra salvezza. Quel Bambino che venne al mondo è la nostra speranza, la luce che illumina i nostri passi.Se dunque vogliamo festeggiare davvero il Natale riscopriamo attraverso i nostri santi la sorpresa e lo stupore della piccolezza di Dio, che si fa piccolo, povero, Egli non nasce nei fasti dell’apparenza, ma nella povertà di una stalla. “Per incontrarlo bisogna raggiungerlo lì, dove Egli sta; occorre abbassarsi, farsi piccoli, lasciare ogni vanità, dove Lui è. E la preghiera è la via migliore per dire grazie di fronte a questo dono d’amore gratuito, dire grazie a Gesù che desidera entrare nelle nostre case, che desidera entrare nei nostri cuori.” (papa Francesco)Sant’Ignazio di Antiochia ci porge un’ aiuto ulteriore nell’entrare nel vero senso del Natale: «Chiudete le orecchie quando qualcuno vi parla d’altro che di Gesù Cristo, della stirpe di David, figlio di Maria, che realmente nacque, mangiava e beveva, che fu veramente perseguitato sotto Ponzio Pilato, che fu veramente crocifisso e morì al cospetto del cielo, della terra e degli inferi, e che poi realmente è risorto dai morti. Lo stesso Padre suo lo fece risorgere dai morti e farà risorgere nella stessa maniera in Gesù Cristo anche noi, che, crediamo in lui, al di fuori del quale non possiamo avere la vera vita».Il mistico Angelo Silesio ci interpella oggi più che mai, in una società in cui sembra perfino che quanto celebriamo a Natale abbia ben poco a che fare con il mistero dell’Incarnazione: “Nascesse pure Gesù mille volte a Betlemme, a nulla mi vale se non nasce in me!”.Buon Natale e che questo Natale sia il Natale in cui Cristo nasca veramente nel nostro cuore. Solo così l’umanità potrà vivere in quella pace tanto sospirata!
Il Verbo si fece carne per ciascuno di noi: quale grande amore!
1. Perché il Figlio eterno si è fatto carne?
Nel prologo del Vangelo di Giovanni troviamo una meditazione teologica sull’incarnazione del Verbo eterno. Al v. 14 leggiamo: «Il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi». Nel linguaggio biblico il termine carne indica tutto l’uomo nel suo aspetto terreno, in quanto storico, debole e mortale. In questo senso Giovanni afferma con forza la reale umanità assunta da Cristo con l’incarnazione. In questo modo il Verbo eterno, assumendo la carne umana, fa esperienza della fragilità della nostra esistenza di creature: fame, sete, fatiche, dolori…Subito si impone una domanda: perché il Verbo si è fatto carne? Qui ci viene in aiuto lo stupendo e illuminante inno di san Paolo che leggiamo nella lettera agli Efesini:«Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d'amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato» (Ef 1,3-6).La benedizione divina sta già nel fatto che, da tutta l'eternità, Dio ci ha scelti, ciascuno personalmente!Questa affermazione è estremamente importante. Si tratta di comprendere – né più né meno – perché noi uomini ci troviamo su questa Terra. Noi esistiamo, fin dall’eternità nella mente di Dio, in un grande progetto che Dio ha custodito in se stesso e che ha deciso di attuare e di rivelare «nella pienezza dei tempi» (cfr Ef 1,10). Le nostre vite qui non sono frutto del caso, ma rispondono ad un disegno di benevolenza eterna di Dio. In Dio noi siamo voluti e pensati, con la nostra irripetibile identità, già da sempre: Egli ci contempla dall’inizio dei tempi.Questa vertiginosa prospettiva sulla nostra esistenza umana subito fa sorgere una domanda: «Qual è lo scopo ultimo di questo disegno misterioso?». Ci ha scelti – continua San Paolo - per essere figli adottivi in Cristo. Tutti abbiamo la vocazione alla filiazione adottiva; da tutta l'eternità Dio ci ha pensato e ci ha creato per essere figli suoi. La nostra creaturalità è elevata alla vita divina, all’essere realmente figli nel Figlio!Noi siamo quindi figli di Dio in tutta verità, perché abbiamo già ricevuto nel sacramento del Battesimo lo stesso «Spirito del Figlio», lo Spirito Santo che da sempre il Figlio possiede e costituisce il suo rapporto unico con il Padre. Noi siamo per grazia ciò che il Figlio è per natura!Continuando la lettura della Lettera agli Efesini, al v. 10 troviamo un’altra affermazione molto importante: il disegno salvifico di Dio, «il mistero della sua volontà» (Ef 1,9), è espresso con un termine caratteristico: «ricapitolare in Cristo tutte le cose, celesti e terrestri» (cfr Ef 1,10). Ciò significa che nel grande disegno della creazione e della storia Cristo si leva come centro dell’intero cammino del mondo, asse portante di tutto, che attira a Sé l’intera realtà, per condurre tutto alla pienezza voluta da Dio. Quest’opera di ricapitolazione di Cristo che si attua nella storia troverà compimento nella pienezza escatologica, quando «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15,28).In teologia ci sono state due posizioni riguardanti la finalità o motivo dell’incarnazione: quella redentiva secondo la quale l’incarnazione è un “rimedio del peccato”, e quella perfettiva, come abbiamo letto nella lettera agli Efesini, secondo la quale Cristo ha in se stesso, indipendentemente dalla caduta iniziale, il compito di condurre dinamicamente al suo compimento la storia dell’uomo e del cosmo.Capiamo che non si dà opposizione tra finalità redentiva e perfettiva dell’incarnazione, dal momento che l’evento creazione e incarnazione sono integrate nell’unico piano di salvezza dell’umanità e del cosmo in Cristo. Ne consegue che il Figlio di Dio è diventato uomo non soltanto a causa dei peccati commessi dall’uomo, ma soprattutto per portare a compimento la creazione.Contempliamo l’incarnazione e la natività nel vangelo di Luca
Da questo alta visione teologica e spirituale sulla finalità dell’incarnazione di Cristo passiamo ora a contemplare l’incarnazione e la natività come ci viene presentata nella stupenda pagina del Vangelo di Luca, cap 2, vv. 1-7. Leggiamo il testo.«In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio».In questi versetti iniziali Luca si premura di collocare Gesù all’interno di un quadro storico ben concreto. Gesù, dunque, non è nato nell'imprecisato “una volta” del mito. Egli appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente indicato. «La fede è legata a questa realtà concreta, anche se poi, in virtù della Risurrezione, lo spazio temporale e geografico viene superato e il 'precedere in Galilea' (cfr. Mt 28,7) da parte del Signore introduce nella vastità aperta dell'intera umanità (cfr. Mt 28,16ss)»1.In Luca, inoltre, questo riferimento storico ha anche una valenza teologica. Infatti si legge: «... Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra» (v. 1). Cesare è posto nel ruolo di destinatore universale; egli intende censire la totalità («tutta la terra») del mondo abitato (oikumenen). Tutto il potere è incentrato su di lui, ignorando che quel che è al di fuori della sua presa. Di fronte a questa volontà di dominio “universale” da parte di Cesare Augusto, nella storia, un universale portatore di salvezza (Gesù) può entrare nel mondo.Si noti che la presentazione che Luca fa di Cesare Augusto non è affatto una manomissione storica in vista del significato teologico. Infatti l'epigrafe di Pirene risalente all'anno 9 a.C. ci fa capire come Augusto voleva essere visto e compreso: il mondo intero sarebbe andato in rovina senza di lui; “La provvidenza – si legge in tale stele – che divinamente dispone la nostra vita ha colmato quest'uomo, per la salvezza degli uomini, di tali doni da mandarlo a noi e alle generazioni future come salvatore (sōtér)”2. Dunque Augusto si ritiene un salvatore dell'umanità; egli avrebbe suscitato una svolta nel mondo, avrebbe introdotto un nuovo tempo. Allora è chiaro che Luca ci pone di fronte ad un confronto: chi è il vero salvatore? Cesare Augusto o il bambino che nasce a Betlemme?C'è poi un particolare molto significativo: «il 'salvatore' ha portato al mondo soprattutto la pace. Egli stesso ha fatto rappresentare questa sua missione di portatore di pace in forma monumentale e per tutti i tempi nell'Ara Pacis Augusti... »3. In effetti Cesare Augusto col suo dominio ha pacificato l'impero che ha conosciuto sicurezza giuridica e benessere per circa duecentocinquanta anni. Ma si tratta della pax romana basata sì su accordi politici, ma soprattutto sulle armi. Ben diversa è la pace che Gesù è venuto a portare e che come Risorto donerà ai suoi (cfr. Lc 24,36). È una pace fondata sulla vittoria del peccato. Interessa l'uomo nella profondità del suo essere. La storia dell'umanità è una storia di violenza a causa del peccato. Basti leggere le prime pagine della Genesi per constatare che dal primo peccato c'è stato un proliferare del male a tal punto che tutta la terra «era piena di violenza» (Gen 6,13); il racconto eziologico del diluvio esprime come l'uomo nella storia distrugge se stesso a causa della violenza. Tutta la storia d'Israele sarà intrisa dalla violenza. E Dio, che viene a stringere un'alleanza con il suo popolo e le rimane fedele nonostante il peccato, è disposto ad accogliere anche le immagini che l'uomo violento ha proiettato in lui: quella di un Dio violento, che castiga e punisce duramente – anche utilizzando come strumento la guerra - Israele infedele per richiamarlo alla fedeltà all'alleanza. Oltre a portare la vera pace sulla terra – quella che proclamano gli angeli al v. 14 – Gesù ci rivela anche il vero volto di Dio.«Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nàzaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme» (vv. 3). Il viaggio che Giuseppe, qui presentato con il ruolo di figlio di Davide, e quindi portatore della promessa messianica, “sale” in Giudea, per raggiungere la “sua” città (cfr. v. 3)4. È quindi un viaggio in “salita”: da Nazareth (luogo basso), punto di partenza, egli sale in direzione di Gerusalemme (luogo alto per la sua altezza e per la sua importanza di capitale e di unico luogo di culto). Si tratta della seconda delle quattro salite che punteggiano i primi due capitoli di Luca: la visitazione (nelle colline di Giuda), la salita di Giuseppe con Maria incinta, le due salite a Gerusalemme (quella circoncisione al Tempio e, 33 giorni dopo, la presentazione di Gesù) che chiuderanno il vangelo dell'infanzia (cfr. 2,21-52). Il viaggio di Giuseppe - che porta con sé Maria incinta – anticipa il viaggio che Gesù stesso da adulto farà e che il vangelo di Luca ci presenta. Una “salita”, dunque, non solo topografica, ma anche teologica. Una salita che si concluderà con la passione e morte di Gesù.Giuseppe sale per raggiungere “la sua città”. L'espressione “città di Davide” è strana, perché la locuzione, usata una cinquantina di volte nella Sacra Scrittura, indica Gerusalemme, la capitale. Luca elimina subito l'ambiguità precisando: “chiamata Betlemme”. Evidentemente mediante l'uso di tale locuzione l'evangelista ci dà un messaggio teologico: Gesù è collegato alle umili origini di Davide a Betlemme piuttosto che alla gloria regale di Gerusalemme; la povertà nella quale nasce è segno di una regalità che assume i tratti della povertà – quella assunta per amore dell'umanità5 -, e del servizio (quello di essere pastore – come lo aveva fatto il giovane Davide prima dell’elevazione alla regalità - che dà la vita per le pecore), a differenza dei re di questo mondo (e di Davide stesso).Con questa salita a Betlemme si avvera la profezia di Michea: «E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mi 5,1). È vero che Luca non cita espressamente tale profeta, ma l'abbondanza di termini e temi comuni esprime un chiaro riferimento dell'evangelista ad essa.Giuseppe, dunque, sale «con Maria sua sposa che era incinta» (v. 5). Giuseppe è congiunto a Maria, congiunto al Messia in gestazione. Il censimento riguarderà dunque due persone e ben presto tre, cioè anche il bambino Gesù che nascerà a Betlemme. Vediamo così compiersi il programma, che era stato posto nell'annuncio dell'angelo a Maria: «Il Signore gli darà il trono di Davide, suo padre» (1,32). Questo oracolo era un'eco della profezia messianica di Natan (2Sam 7,12-17). L'ironia del racconto sta nel fatto che il censimento, cui Gesù si sottomette passivamente (“per essere censito”: 2,5), manifesta la sua qualifica regale e sovrana di Messia. Dio si serve del potere cieco di Augusto (grande manipolatore delle popolazioni) per autenticare il Re-Messia. Luca non aveva fino ad ora manifestato in che modo Gesù, che era figlio di Giuseppe (in senso “legale”, come invece ben ci dice Matteo in 1,18-25), poteva ben meritare il titolo di figlio di Davide. Ma ora la cosa è chiara6. Egli sarà il re davidico «il cui regno non avrà fine» (Lc 1,33).Gesù nasce e viene posto in una mangiatoia perché «non c’era posto per loro nel katàlyma» (v.7). Che cosa è questo katàlyma? Anzitutto è da escludere l'albergo: infatti per parlare d'un albergo o locanda dove si paga Luca adopera il termine pandokeion (cfr. Lc 10,34). Cos'è allora? Si tratta della sala ospitale di soggiorno, la “camera alta”, quella che sarà prestata anche per l'ultima cena (anche Lc 22,11 è un katalyma). Probabilmente la casa (in Mt 2,11 dove si dice espressamente che i magi entrano nella «casa») è quella dei parenti che ospitava Giuseppe e Maria7; forse era ormai sovraffollata, e comunque la stanza di soggiorno non era certo il luogo opportuno per una partoriente; così ai due giovani sposi venne offerto un luogo separato e discreto, attiguo alla casa che li ospitava, senz’altro povero. Si trattava, probabilmente, del piccolo vano che faceva da ripostiglio e da piccola stalla per l’asino8. Ciò spiegherebbe la presenza della mangiatoia.C'è da chiedersi: di chi è quella casa? L'evangelista non lo dice. Coi suggerisce che dev’essere la casa del mio cuore. C'è posto in essa per Gesù?Si noti che, sebbene non c'è stato un rifiuto esplicito da parte dei parenti di Giuseppe, questa nascita in questo luogo umile viene letta come una prefigurazione del futuro di Gesù. «La meditazione, nella fede, di tali parole ha trovato in questa affermazione un parallelismo interiore con la parola, ricca di contenuto profondo, del Prologo di Giovanni: “Venne fra i suoi, e i suoi non l'hanno accolto” (Gv 1,11). Per il Salvatore del mondo, per Colui, in vista del quale tutte le cose sono state create (cfr. Col 1,16), non c'è posto. “Le volpi hanno le loro tane egli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Colui che è stato crocifisso fuori della porta della città (cfr. Eb 13,12) è anche nato fuori della porta della città.Questo deve farci pensare, deve rimandarci al rovesciamento di valori che vi è nella figura di Gesù Cristo, nel suo messaggio. Fin dalla nascita Egli non appartiene a quell'ambiente che, secondo il mondo, è importante e potente. Ma proprio quest'uomo irrilevante e senza potere si svela come il veramente Potente, come Colui dal quale, alla fine, dipende tutto»Si noti anche che Gesù viene posto in una mangiatoia. Ciò che viene posto in essa è per essere mangiato. Gesù si darà come pane di vita per la salvezza degli uomini. Il peccato era cominciato con il mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male con la brama di diventare come Dio; la cura di questo mangiare sarà proprio l'eucarestia. La croce – l'albero della vita – permette di mangiare il frutto della vita. L'eucaristia è l'antidoto, il farmaco dell'immortalità. I discepoli ora possono mangiare, senza bramosia, ricevendo tutto come dono il frutto dell'albero della vita, con rendimento di grazie.Non per nulla Gesù nasce a Betlemme, che significa “casa del pane”. Nasce là dove c'è la casa del pane. È lui il Pane da mangiare che si dona.Si noti, infine, ad una lettura attenta, lo stretto parallelismo tra la nascita di Gesù e la sua morte. A Gesù morto viene prestata una tomba, come alla nascita viene offerto a Gesù un luogo provvisorio. Con l’oscurità Gesù viene deposto nel sepolcro e nell’oscurità (cfr. il v. 8) Gesù nasce. Gesù viene ‘avvolto’ e ‘deposto’ nel sepolcro (Lc 23,53) e alla nascita Gesù viene ‘avvolto’ e ‘deposto’ nella mangiatoia10. Il Signore, dunque, nasce per morire: nelle pieghe del racconto della nascita il credente già legge la morte in croce del Messia. Se, dunque, Gesù muore per amore nostro (cfr. Rm 5,8: «Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi»), per amore nostro il Verbo di Dio si è incarnato11. Ma, allo stesso tempo, il credente vede anche la Risurrezione: Maria «partorì il suo figlio primogenito» (v. 7): egli viene chiamato “primogenito” (e non “unigenito”, né tanto meno bléfos, cioè “infante” o “bambino”, come invece si legge in 2,12.16) perché egli è il primo di una moltitudine di figli12. Per la sua obbedienza al Padre, infatti, per mezzo del Battesimo siamo morti e risorti con Lui, siamo diventati figli nel Figlio.Nella lettera ai Colossesi questo pensiero viene ancora allargato: Cristo viene chiamato il «primogenito di tutta la creazione» (1,15) e il «primogenito di quelli che risorgono dai morti» (1,18). «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui» (1,16). «Egli è principio» (1,18). Il concetto della primogenitura acquisisce una dimensione cosmica: egli è principio e termine della nuova creazione, che ha preso inizio con la Risurrezione.Infine la mangiatoia rimanda – come abbiamo detto – agli animali, per i quali essa è il luogo del nutrimento. Nel Vangelo non si parla qui di animali. Ma la meditazione guidata dalla fede, leggendo l'Antico e il Nuovo Testamento ha ben presto colmato questa lacuna rinviando a Is 1,3: «Il bue conosce il suo proprietario e l'asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende». Questi due animali posti nel presepe rappresentano l'umanità che, davanti al Bambino, davanti all'umile comparsa di Dio nella stalla, arriva alla conoscenza e, nella povertà di tale nascita, riceve l'epifania che ora a tutti insegna a vedere13.
Con l’augurio che ciascuno di noi possa essere illuminato da questa luce divina, auguro a tutti un Santo Natale!
Padre Michele, omv - Rettore del Santuario -
Tempo di Natale
NOVENA DI NATALE 16 - 24 DICEMBRE 2023
Ore 8,30 -10,00 - Nella celebrazione Eucaristica
Sante Messe ore 8,30 - 10,00 - 17,00 - Rosario ore 16,30
24 DICEMBRE IV DOMENICA DI AVVENTO
Sante Messe Ore 9,00 - 10,30 - 12,00
Ore 16,30 - Santa Messa della Vigilia di Natale
Ore 23,30 - Santa Messa della Notte
25 DICEMBRE NATALE DEL SIGNORE
Sante Messe ore 9,00 - 10,00 - 12,00 - 16,30 - 18,00 - Rosario ore 16,00
26 DICEMBRE SANTO STEFANO MARTIRE
Ore 9,00 - 10,30 - 12,00 - 17,00 - Rosario ore 16,30
Lettura spirituale della Sacra Scrittura
Siamo alle battute finali della tragedia. Mentre l’esercito di Israele combatte contro i Filistei, a Saul appaiono i fantasmi del profeta Samuele e del sacerdote Achimelech, che gli predicono l’imminenza della fine. Il re tenta invano di placarli, finché il generale Abner gli annuncia la sconfitta dei suoi soldati e la morte dei suoi figli maschi. È a questo punto che Saul riacquista per un attimo la lucidità perduta: affidata la figlia Micol ad Abner, affinché la ricongiunga al marito David, rifiuta di fuggire e si dà eroicamente la morte.
SABATO 16 DICEMBRE ORE 16,00 SALA DEL ROSARIO.
L'ESILIO DI DAVIDE E LA MORTE DI SAUL - RELATORE PADRE MICHELE BABUIN OMV
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