1. La pedagogia ignaziana nella vita spirituale del Lanteri
Se leggiamo il Direttorio spirituale (che è probabilmente il frutto di un prolungato corso di esercizi spirituali) subito ci accorgiamo che fin da giovane il Lanteri ha strutturato la sua vita spirituale secondo la pedagogia ignaziana.
1.1. La meditazione
Era ben curata. Il Lanteri applicava fedelmente le varie indicazioni che S. Ignazio propone all’esercitante nei suoi esercizi per disporsi meglio alla preghiera.
«1. Prevedere il giorno avanti i punti ed il frutto, e rammentarsene svegliato, per non tentare Dio al tempo dell’orazione.
2. Giunta l’ora prefissa, procurare di essere tranquillo e raccolto, dimenticandosi delle creature per entrare come si deve in commercio con Dio, e di schivare i difetti della meditazione precedente. Quindi 2 passi lontano dall’Oratorio il segno della S. Croce. Profondo inchino con atto di fede della presenza di Dio, unico mio scopo che mi vede, mi ascolta, e premuroso del mio bene mi vuol parlare, considerandone il suo essere bontà e bellezza, e con atto di adorazione alla Santissima Trinità, o a Gesù Cristo. […] 1° preludio secondo la materia; 2° chiedere l’assistenza dello Spirito Santo...e grazia di ricavarne il frutto prefisso, ed il tutto in 2 o 3 minuti»[1].
Anche nello svolgimento della sua meditazione, Lanteri è prettamente ignaziano:
«4. Proporre la materia, atto di fede, esaminarla con autorità di Scrittura e Santi Padri, con la ragione, con similitudini ed esempi, dilucidarla, e trarne le conseguenze certe.
5. Produrre affetti, risoluzioni, proponimenti massime particolari e riguardanti le pratiche già proposte, e questo in ciascun punto.
6. Ringraziare Dio dei lumi, Confirma etc., la supplica del Pater, Sub tuum etc.»[2].
Nella conclusione stessa della meditazione, il Lanteri continua a seguire il metodo ignaziano con il suo tipico esame dell’orazione:
«7. Un’occhiata ai difetti occorsi con proposito di rimediarvi, un’occhiata ai lumi, risoluzioni, occasioni di praticarle, altrimenti procurarne atti interni od esterni.
I difetti sono distrazioni, tedio, aridità, desolazione; la causa difetto di preparazione, o applicazione e riverenza, esser troppo attaccato ai propri lumi oppure antecedentemente libertà di conversare, parlare cose vane, affetti, sollecitudini temporali»[3].
Pio Bruno si propose di raccogliere le ispirazioni che sentiva più forti nell’orazione in un piccolo quaderno tascabile: «[Propongo di] Ridurre le mie massime e il metodo dei miei esercizi spirituali in un librettino portatile»[4]. La funzione di questo “librettino portatile” era duplice: infatti serviva al Lanteri (che, tra l’altro, conserverà quest’abitudine anche da anziano) per ravvivarsi spiritualmente in quella grazia particolare che gli aveva toccato il cuore attraverso quel determinato pensiero o quella Parola di Dio meditata; in secondo luogo gli era molto utile anche per il confronto con il suo direttore spirituale cui egli rimetteva ogni giudizio con voto di ubbidienza.
1.2. Gli esami di consapevolezza
La mancanza di consapevolezza spirituale è per il Lanteri la radice di ogni impoverimento spirituale, di ogni fallimento morale significativo e prolungato. Alla scuola di Ignazio fin da giovane il Lanteri imparò la fedeltà alla pratica degli esami di coscienza particolare, generale, e quello relativo alla propria esperienza di preghiera. Destinava un giorno al mese per un ritiro personale e frequentemente uno spazio di parecchie ore alla settimana per rivedere le sue attività e per determinare come impiegare con crescente efficacia le sue energie apostoliche.
I suoi scritti personali abbondano di riferimenti agli esami ignaziani. Per esempio, in un librettino portatile del 1782 si propone:
«– Per l’esame generale: il male, il bene, e quanto ben fatto.
– Ricordati dell’esame in fin della meditazione. […]
– Una mortificazione la mattina e la sera a tavola.
– Cercare occasioni per l’esercizio della virtù particolare.
– Esame mattina e sera; paragonare i giorni e le settimane; per ciò notarne il numero in carte con lapis. Significarne al direttore gli atti».
Circa dieci anni dopo, al termine di un corso di esercizi, si propone i seguenti rimedi:
«Provarsi sovente fra il giorno, cioè con frequenti esami se veramente:
– amo Dio sopra ogni cosa;
– amo il prossimo come me stesso;
– e se attendo seriamente all’abnegazione di me medesimo.
Quindi concepire: un santo impegno a contrariarmi e praticare la virtù nelle occasioni per formarne l’abito, un distacco e disprezzo delle cose puramente temporali, indegne dell’affezione del mio cuore, una santa ostinazione a trattare santamente le cose sante».
Per questo dovrà tenere viva l’attenzione nell’azione: «Nell’esame cercherò se ho cominciate, continuate, finite le mie azioni per passione o per ragione o per fede, se si è accompagnata la negligenza».
Sembra certo che l’accidia o pigrizia spirituale fosse ciò che il Lanteri sentiva come uno dei maggiori ostacoli nel suo cammino di santità. Individuato il nemico il Lanteri passa all’attacco: «Se io la prendo solo sotto l’aspetto di mortificarmi, questo è come uno stato violento che non dura, conviene che lo prenda (come l’esperienza me lo comprovò) sotto l’aspetto di libertà di spirito, di generosità d’animo, e per procurarmi più efficacemente questa virtù, non trovo miglior mezzo che il prefiggermi di cercare in tutto la maggior gloria di Dio…».
Interessante la sua strategia: no ad un attacco sotto l’insegna della mortificazione frustrante, perché questa provoca “uno stato violento che non dura”. Qui il Lanteri dimostra acume psicologico e spirituale non indifferente. Una lotta intrapresa all’insegna di una spinta o motivazione positiva (qualcosa di buono o migliore da acquisire), ha più presa nell’animo e possibilità di durata nel tempo che la stessa lotta intrapresa per una motivazione negativa (qualcosa di non buono da togliersi). In altre parole è più entusiasmante e facile lottare per acquistare una virtù, che per togliersi un difetto, e poiché la lotta è la stessa, ne segue che è più facile eliminare i difetti lavorando sulle virtù contrarie (per questo il Lanteri pianificherà la sua lotta all’accidia impegnandosi maggiormente per la gloria di Dio):
«[…] esaminandomi sovente se quel che faccio è il meglio che possa fare per glorificar Dio, e se lo faccio nel miglior modo possibile, sempre con Gesù Cristo per esemplare, così mi rendo superiore a me stesso e trovo un motivo nobile ed efficace per disprezzare i miei comodi o altro fine umano nell’agire che sono gli impedimenti dell’applicazione, essendo sempre venuti i miei difetti o dal timore d’incomodarmi o di essere disprezzato».
1.3. L’ascesi
Già da giovane chierico il Lanteri faceva proprio sul serio con il suo Dio, sapeva quello che cercava e lo cercava con tutto se stesso, giocando tutto per Dio, impegnandosi nel modo più assoluto e radicale consentito nel suo stato di vita, anche con la mortificazione esterna.
Quella interna attuata attraverso il suo severissimo programma di impegni che prevedeva una lotta continua all’ozio e alla dissipazione: così si esprime nel suo Direttorio Spirituale: «Non debbo mangiare e dormire che quando e quanto bisogna per vivere; non vivo che per gloria di Dio” e perciò “via ogni pensiero inutile».
Riguardo la mortificazione esterna (sempre intesa come strumento sia per «vincere se stesso» sia per «ottenere qualche grazia o dono che si vuole o si desidera».
Da alcuni fogli di annotazioni spirituali vediamo anche l’aspetto ascetico della lotta al proprio difetto predominante (l’accidia) quale mezzo per realizzare la santità, che il giovane Lanteri si prefigge di condurre in una triplice direzione: contro il rispetto umano, contro lo scoraggiamento, contro la negligenza nelle proprie pratiche di pietà.
a) La lotta contro il rispetto umano.
«1 – Sempre pensare, parlare e operare da santo: il mio stato lo richiede e le ragioni che mossero i santi sussistono anche per me. Perciò sempre apertamente e liberamente mi dichiarerò dalla parte di Dio, mi pregierò a faccia scoperta di essere buon cristiano e vero ministro di Dio.
Se sarò burlato e deriso dagli uomini, sarò onorato da Dio; anzi m’intenderò di essere tenuto per grande del suo regno, giacché si degna di pormi in capo la Sua stessa corona: mezzo ottimo, questo, per vincere i rispetti umani».
Al primo posto quindi vediamo quindi l’impegno del Lanteri nella lotta contro il rispetto umano, contro la timidezza spirituale che blocca la libertà della persona di manifestarsi quale essa è per la paura di essere derisa e criticata. Si tratta di raggiungere la piena libertà di spirito nelle relazioni con gli altri, instaurando con tutti relazioni cordiali, affabili, semplici, allegre, ma soprattutto libere, cioè libere dalla paura di dire o fare qualcosa che possa contrariare l’altro, manifestandosi serenamente per quello che si è. Sempre pronti ad accondiscendere all’altro per amore, purché venga rispettata la verità e l’onore di Dio.
b) La negligenza nelle pratiche di pietà. Il secondo campo della lotta spirituale è, per il giovane Lanteri, la costanza, la fedeltà nel fare gli esercizi di pietà:
«2 – Quindi sempre inviolabilmente fedele a Dio e costante nei miei soliti esercizi di pietà e a qualunque prova. Perciò: 1o anche di fronte a qualunque persona autorevole, in qualunque circostanza o avversità, praticherò la generosità di animo, la libertà e tranquillità di cuore».
Tutta la cura e l’attenzione che emerge nei suoi scritti giovanili nel tenersi sotto controllo per evitare il vizio della negligenza denota l’importanza che egli dava alla virtù della diligenza e della costanza nel portare avanti il programma personale di santificazione con tutto quanto fissato su consiglio del direttore spirituale. No, il Lanteri non era spontaneamente diligente e metodico, lo era diventato con l’aiuto della grazia divina e il suo incessante impegno a tenersi sotto controllo (non perché egli fosse negligente e incostante, ma perché molto probabilmente ne sentiva la forza di seduzione interiore, la tentazione di esserlo).
c) La lotta contro lo scoraggiamento che doveva aver molto provato il giovane Lanteri sia per quanto riguarda il suo desiderio di portare a termine gli studi, lottando contro una salute malferma e un’infiammazione oftalmica che rendeva lo studio faticosissimo, sia per quanto riguarda il suo rapporto con la propria fragilità umana, sia – infine – per il persistere delle tentazioni nei confronti delle quali ricorre ad una strategia per vincerle.
1.4. La direzione spirituale
Nel 1779 il giovane Lanteri, studente di teologia, venne a contatto con il Diesbach, rivolgendosi a lui per la direzione spirituale. La direzione spirituale di Diesbach ebbe un effetto decisivo nell’orientamento spirituale del Lanteri. Dopo la partenza del Diesbach per la capitale austriaca purtroppo non conosciamo l’identità di chi il Lanteri scelse come direttore. Sappiamo comunque che egli si lasciava docilmente guidare da un sacerdote a cui, come afferma il Gastaldi, «era interamente aperto e soggetto». Nel Direttorio spirituale vediamo l’importanza che il Lanteri attribuiva a tale apertura quando parla delle armi contro le tentazioni: «Manifestare tutte le tentazioni al Padre spirituale, e si vedono effetti miracolosi e prestissimi, cagionati dall’efficacia di quell’atto d’umiltà e il demonio fa ogni sforzo per disturbarci, disse anche lo Spirito Santo: Guai a chi è solo, perché se cade non ha chi gli porga la mano per levarsi in piedi».
2. La pedagogia ignaziana nella direzione spirituale del Lanteri
Sfogliando le lettere di direzione spirituale del Lanteri possiamo ritrovare la presenza della pedagogia ignaziana tra i vari consigli spirituali che aveva attinto dai grandi maestri della vita spirituale. Tutto dev’essere fatto con ordine e metodo. È questo uno dei punti sui quali il Lanteri insisteva: ordine e metodo sia nell’agire (ordine delle principali azioni della giornata) sia nella vita spirituale. Tutto ciò in accordo con i doveri della persona verso la famiglia e il lavoro.
«E’ assolutamente necessario ben impiegare il tempo e santificare le nostre azioni. Ma come è possibile riuscirci? E’ con l’ordine che impieghiamo bene il tempo, e con il metodo, e lo spirito interiore (intenzione pura e fervore), e la vita interiore che santifichiamo le nostre intenzioni.
Occorre dunque 1) fissare un certo regolamento d’orario per le azioni principali... non mancando ad osservarlo per leggerezza o per ripugnanza se non per una valida ragione (per ragioni di obbedienza, di carità), e nella pratica preferire sempre le azioni più importanti verso gli altri, e quelle d’obbligo rispetto a quelle supererogatorie.
Occorre 2) procurarsi una vita interiore con una buona pratica di pietà, ma ben fatta, con metodo, come la Santa messa, la meditazione, la lettura spirituale, l’esame di coscienza».
Il Lanteri è convinto, con sant’Ignazio e gli altri maestri di vita spirituale, che solo da un’orazione metodica si può ricavare qualche frutto concreto. Per la meditazione e gli esami di coscienza il Lanteri indica sempre il metodo ignaziano. Accanto ad essi troviamo indicazioni di metodo per la partecipazione alla Santa messa e per la lettura spirituale.
Per quanto riguarda al fedeltà, in una lettera di direzione spirituale a Pietro Leopoldo Ricasoli il Lanteri esorta: «Io non potrò mai per questo abbastanza raccomandarle la meditazione quotidiana delle massime sante di nostra Religione, ma fatta con vero impegno e con affetto, e proseguita con una santa ostinazione, e sempre, per quanto si può, in una data ora fissa del giorno. Gioverà poi molto a facilitarle un tale esercizio la lettura spirituale fatta ogni giorno tranquillamente sopra i libri scelti di pietà».
Ad una dama penitente raccomanda: «Fare gran caso della fedeltà negli esercizi di pietà, guardarsi da quel tacito disprezzo con cui si dice che non importa lasciare la meditazione, o la lettura, o l’esame etc., ora per compiacere agli uomini, ora per qualche occupazione o indisposizione. Sanno i demoni che se non tagliano allo spirito questi capelli, mai non potranno legare questo Sansone».
E, a Suor Crocifissa Bracchetto circa la fedeltà alla meditazione scrive: «Cominciarla con desiderio ed amore. Non lasciarla mai, né diminuirla per noia, o distrazione. Vale più un’oncia di orazione fatta con pazienza, che mille libbre d’orazione con fervore sensibile».
Per quanto riguarda l’importanza degli esami (particolare e generale), così il Lanteri raccomanda ad una religiosa:
«Nell’ora del Vespro, procuri di fare il suo esame particolare sopra l’acquisto di qualche virtù, o l’emendazione di qualche difetto; essendo che la persona spirituale deve sempre avere in vista qualche nuovo acquisto di virtù, per cui deve ordinare il suo esame particolare ed il frutto di sue meditazioni e comunioni. Io molto le raccomando la pratica di questo esame, acciò l’anima sua non divenga simile alla vigna dell’uomo pigro, della quale dice il Savio che passò per essa, e vide che la siepe d’intorno era caduta e che ogni cosa era piena d’ortiche e di spine, onde, affinché l’anima sua non cada in così misero stato, sia molto sollecita di valersi di questo mezzo, né mai desistere, né perdersi d’animo per le difficoltà...».
La invita anche a non trascurare il ritiro mensile:
«Un altro mezzo le propongo per tenersi stabile nella strada della perfezione, ed è il fare ogni mese un giorno di ritiro, e vorrei che lo facesse con tutto l’impegno, come fa ora nel noviziato. Si guardi di lasciarsi entrare in capo quell’inganno che per trovarsi in un officio, in cui non può avere un giorno tutto libero per potervi attendere, sia meglio non lo fare; questo è un consiglio della tiepidezza che induce con vani pretesti a non fare nulla, perché non si può fare tutto. Ma come si vede chiaro che male la discorrerebbe chi, per non poter fare un pranzo di mezz’ora, lasciasse di farlo di un quarto, e si rimanesse tutto il giorno digiuno, così può facilmente scorgersi l’insussistenza di questa scusa; onde non la pensi così, ma lo faccia al meglio che può, e sempre lo faccia, benché non avesse tempo che di fare una sola meditazione ed un esame sopra lo scorso mese».
In una lettera ad una signora – con chiaro riferimento alle regole ignaziane sul discernimento degli spiriti - il Lanteri spiega che una tristezza buona in seguito ad una caduta viene da Dio, mentre una tristezza cattiva viene dalla superbia.
«Dobbiamo guardarci più che mai dopo la caduta degli effetti della superbia. Anche la superbia sa pentirsi dei mancamenti e con grande pentimento, e tale che induce talvolta a una durissima penitenza, fino alla disperazione, poiché non può soffrire la vista dei suoi peccati, non tanto per il dispiacere di aver offeso Dio, quanto per vedersi difettoso. Ora a questo cattivo dolore e pentimento si deve gagliarda resistenza, perché cagiona nell’anima una tristezza inutile che non nasce da Dio, né per Dio, ma dalla propria presunzione e dal non conoscere l’uomo la propria fiacchezza e miseria, e in questo tempo che perde, dolendosi inutilmente, commette maggior colpa di quella per cui si duole...».
Non mancano inoltre nelle lettere gli inviti al combattimento del difetto predominante. Ad esempio ad una dama penitente il Lanteri suggerisce: «Mi guarderò dall’ozio, come fonte di ogni male, e sempre mi terrò occupata nel lavorare, o nel leggere, o nel pregare...; farò sempre tutto con grande volontà, e per Dio, e anche le cose piccole avranno grande peso».
Per quanto poi riguarda l’importanza dell’apertura del cuore alla guida spirituale, così raccomanda alla medesima: «Manifestare tutte le tentazioni al Padre spirituale: è indicibile il bene che se ne ricava, 1) per l’atto di umiltà; 2) per i lumi che si ricevono; 3) per la riformazione, o perseveranza della nostra condotta».
3. Gli esercizi spirituali come efficace mezzo apostolico
Guardando al suo mondo con occhio di fede, e pieno di una tale sollecitudine per la salvezza della persona umana, il Lanteri coglie con forza e con dolore il divario grande che esiste sovente tra ciò che si crede e ciò che si vive. Gli uomini e le donne della sua società in genere sono cristiani, hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana e si dicono seguaci della dottrina di Cristo. Però, nel concreto, dato un ambiente sociale sempre più alieno dai valori di questa fede, molti sono portati quasi insensibilmente a giudicare, a scegliere, a orientarsi in base a criteri diversi da quelli evangelici.
Il Lanteri, guidato dallo Spirito a sentire fortemente l’esigenza, nella Chiesa, di un mezzo pratico, accessibile alla gente di tutte le condizioni sociali, ed efficace, per aiutare tutti a far «far rivivere la fede, e riformare i costumi»[34], sceglie – anche in forza della propria esperienza spirituale – gli esercizi spirituali.
«... gli esercizi di S. Ignazio non consistono solamente nel passare alcuni giorni nella quiete dell’orazione, e nell’impiegare maggior tempo per attendere a Dio solo ed all’anima sola, ma consistono nel meditare una serie di verità, non comunque una dopo l’altra, ma una in conseguenza dell’altra, le quali unite con ordine
- presentano all’intelletto un’istruzione adattata, a ciascuno, e come completa di quanto si ha principalmente da credere ed operare verso Dio, il prossimo, e se stesso, e una vera fonte di verità e miniera inesauribile di sapienza divina;
- e presentano alla volontà, quanto al passato, una macchina potentissima per espugnare il cuore, ed un metodo efficacissimo per purgare l’anima dalle ree affezioni con farle conoscere, piangere e confessare; quanto al presente, una scienza pratica per avanzarsi con l’imitazione delle virtù quotidiana ed eroiche di Gesù, e un metodo canonico, ossia approvato dalla Chiesa per santificarsi grandemente; quanto all’avvenire, un piano di riforma interna ed esterna che dura.
Insomma gli Esercizi di S. Ignazio sono, in genere, uno strumento potentissimo della Divina Grazia per la riforma universale del mondo, ed in particolare, un metodo sicuro per ciascuno di farsi santo, gran santo, e presto».
Ecco un altro brano nel quale il Lanteri descrive l’efficacia degli esercizi in ordine alla santificazione:
Cos’è farsi santo? È distruggere l’uomo vecchio e vestire l’uomo nuovo...; si debbono dunque lavare le macchie del peccato; si deve ristabilire la somiglianza, l’immagine di Dio, la quale consiste non nel somigliargli nell’onnipotenza, Sapienza, immensità, ma nella santità, cioè nel rendersi modello delle sue virtù...
- Essere santo vuol dire, quanto alla memoria [36], dimenticarsi di tutto il creato e non occuparsi che di Dio, trovare Dio in tutti gli avvenimenti, vedere Dio in tutte le cose, riferire tutto a Dio, essere sempre fisso in Dio, rassomigliare così a Dio stesso che sempre si occupa di se stesso, si compiace di se stesso, è beato di se stesso.
- Essere santo vuol dire, quanto all’intelletto, disprezzare tutte le cose terrene, stimare solo le eterne per venire così a stimare niente, disprezzare niente altro che ciò che stima o apprezza Dio stesso, e uniformare così i nostri giudizi con quelli di Dio, i quali soli sono giusti ed infallibili.
- Farsi santo vuol dire, quanto alla volontà, raddrizzare i suoi desideri e timori, cioè non desiderare né temere che l’eterno; non essere soggetto alle sue prave inclinazioni che fanno che l’uomo desideri o tema ciò che non deve né desiderare né temere, per essere inoltre [pronto a] tenere lontano dal cuore ogni perturbazione o mutazione, essendone la causa di queste il desiderio o il timore di cose terrene, e così venire ad avere un cuore quieto, tranquillo e immutabile... Ora tutto ciò si opera nei S. Esercizi.
Più ancora farsi gran Santo vuol dire essere disposto a praticare sempre nelle occasioni, atti eroici di fede, di speranza, di carità verso Dio, verso il prossimo, avere sempre per fine del suo pensare, parlare, operare la Maggior Gloria di Dio. Ora anche a questo ci portano i Santi Esercizi. [...]
Dunque lo scopo di questi Esercizi si è farci Santi, gran Santi e presto; e noi dobbiamo corrispondervi perché Dio lo merita, la vocazione lo esige, il mondo ne abbisogna e vi entra il nostro interesse. [...] Chi ci può essere utile fuori di lui fonte e sola fonte d’ogni bene? È ingratitudine enorme dunque non farsi santo».
Il Lanteri è entusiasta degli Esercizi ignaziani: «non essendovi al mondo cosa così interessante quanto il poter passare tranquillamente alcuni giorni unicamente occupati dai grandi oggetti, Dio, Anima, Eternità»[38], è convinto che «gli Esercizi di S. Ignazio meritamente si possono preferire a qualunque altro genere di predicazione... L’esperienza dimostra quanto siano stati benedetti dal Signore, atteso il grandissimo frutto che se ne vede, sempre che si danno e si fanno come si deve»,
trovando quindi negli stessi Esercizi «il fine essenziale» del suo carisma apostolico: «Gli Esercizi si daranno esattamente secondo il metodo insegnato da S. Ignazio. Gli Oblati di Maria Santissima vi si consacreranno con tutto l’impegno possibile, usando tutte le avvertenze proposte dal santo Autore, e le industrie suggerite dall’esperienza, e perciò ne faranno uno studio particolare e consulteranno chi ne ha l’esperienza».
Non a caso nelle Costituzioni degli Oblati di Maria Vergine al primo posto della loro missione ecclesiale vengono indicati gli esercizi: «attendono, con tutto l’impegno, alla santificazione del popolo di Dio, principalmente col guidare gli Esercizi Spirituali e col promuoverne la pratica il più possibile, sia in pubblico sotto forma di missioni popolari, secondo la genuina tradizione lanteriana, sia in privato, preferendo lo spirito e il metodo proposto da S. Ignazio».
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