«Ti benedico, o Padre, perché hai rivelato queste cose ai piccoli »(Mt 11,25)

La vita dei piccoli pastori non cessò mai d’essere ritmata dal cuore di Dio. Il fiat dato alla Signora più splendente del sole veniva costantemente rinnovato dal desiderio innocente di Lucia, Francesco e Giacinta di attualizzare, nella loro vita, l’innamoramento di Dio. La presenza di Dio diventa, per i bambini, terreno sacro e, come Mosè a piedi nudi davanti al roveto ardente (Es 3,2-12), la loro intimità è convertita in una prostrazione alla presenza di quella luce interiore, che è Dio, che arde senza bruciare. E’ questo il segreto ineffabile che li anima. Questo Roveto Sacro che arde loro nel petto, li risveglia, come una volta accadde a Mosè, alla missione di prendersi cura di coloro che vivono nella schiavitù del peccato e dell’ingratitudine. E così, davanti a tutti gli altri, sono presenza della luce di Dio e, davanti a Dio, sono mediatori a favore di tutti gli altri. Le loro vite si trasformano in un’offerta costante di tutto ciò che sono e fanno – pur insignificante che sia - per amore a Dio e ai peccatori

La vita di Francesco, Giacinta e Lucia assume questa vocazione inseparabilmente contemplativa, compassionevole e annunciatrice. Ma ciascun dei bambini assumerà con maggiore rilevanza la specificità della sua chiamata.

Francesco, mosso dal suo sguardo interiore sensibile alla luce dello Spirito, si sente chiamato all’adorazione e alla contemplazione. Si rifugiava dietro una roccia o sulla cima di un monte per pregare da solo. Altre volte ancora, stava lunghe ore nella chiesa parrocchiale, nell’intimità del silenzio, a tenere compagnia a Gesù nascosto. Lì rimaneva a pregare e pensare a Dio, assorto nella contemplazione del mistero insondabile di Colui che viene incontro all’uomo. Francesco, e solo lui, con lo sguardo del suo cuore, scopre la tristezza di Dio di fronte alle sofferenze del mondo, soffre con essa e desidera consolarLo (M 145). Il piccolo pastore, che non aveva sentito l’Angelo e la Signora, soltanto li aveva visti, è il più contemplativo dei tre pastori. In tal modo si evidenzia che, nella vita di questo bambino, la contemplazione nasce dall’ascolto attento del silenzio che parla di Dio, del silenzio in cui Dio parla. L’atteggiamento contemplativo di Francesco è quello di lasciarsi abitare dall’ indicibile presenza di Dio - «Io sentivo che Dio stava in me, ma non sapevo come era!» (M 138) - ed è questa presenza che deve essere trasfigurata in accoglienza orante dell’altro. In Francesco si scopre una vita di contemplazione.

La piccola Giacinta esprime la gioia, la purezza e la generosità della fede, accolta come offerta del cuore di Dio e trasformata, nelle piccole cose della sua vita semplice di ragazzina, in dono gradito al cuore di Dio (Rm 12,1) in favore dell’umanità. La forza con cui la luce divina fece irruzione nella sua vita di bambina, l’afferra definitivamente con un dinamismo nuovo, che le fa desiderare ardentemente di condividere la sua gioia. La purezza del suo cuore gioioso anelerà a che tutti possano assaporare, grati e puri, la presenza e la gioia del cuore di Dio. Questa ansia di condividere l’amore ardente che provava per i cuori di Gesù e di Maria la faceva crescere nella sua cura verso i peccatori. Tutti i piccoli dettagli della sua giornata di pastora, tutti i disagi degli interrogatori senza fine a cui era soggetta, tutte le contrarietà della sua malattia, erano motivo di offerta a Dio per la conversione dei peccatori. Altre volte, condivideva con i poveri la sua merenda, offrendo il suo digiuno in sacrificio, come segno del dono della sua vita tutta per amore di Dio e dell’umanità. Questo pregare e soffrire per amore «era il suo ideale, era ciò di cui parlava» (M 60). Questa era la sua gioia, quella di vivere immersa nell’amore di Cristo sofferente, al modo di San Paolo: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa»(Col 1,24). Il fuoco che portava nel petto si irradiava e non avrebbe smesso di espandersi fino a contagiare, per la dinamica teologale della preghiera e del sacrificio, tutti gli uomini e le donne, in particolare gli uomini ingrati, cioè tutti coloro che non accolgono la Grazia. La vocazione di Giacinta è  la compassione.

Lucia accoglie la missione di evangelizzare, di far conoscere la buona novella della misericordia di Dio, rispondendo al desiderio del Dio della misericordia di consacrare il mondo al Cuore Immacolato di Maria (M 173). Presto Lucia comprende che al centro di questa devozione al Cuore Immacolato c’è la forza trasformante della misericordia di Dio. E lì scopre la sua vocazione di essere memoriale della «grandezza delle Misericordie Divine» (M 186). In modo simile ad Israele, chiamato ad essere luce delle nazioni (Is 49,6), la vita di Lucia si converte in una testimonianza vivente dei disegni di misericordia che Dio ha nei confronti dell’umanità. Dalla sua umile vita di pastora alla clausura della sua consacrazione religiosa, Lucia è la testimone che si spegne affinchè brilli incessantemente la luce del Segreto del Dio della misericordia, già definitivamente rivelato dal Figlio e ricordato a Fatima. In lei si intravede la testimone fedele di un dono accolto e offerto al mondo.

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