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1. Lo zelo del Lanteri

P. Lanteri fu un uomo acceso dal fuoco ardente: bruciava dal desiderio di aiutare tutti a incontrare Cristo. Fin da giovane bramava di “poter fare qualche cosa a Sua Maggior Gloria e a servizio delle anime da Lui redente”. Nel direttorio spirituale il Lanteri si proponeva di essere: «Sempre zelante, magnanimo, libero, fedele, semplice, candido, affabile, tranquillo, rassegnato alla volontà di Dio, ansioso di piacere a Lui solo e guadagnarGli anime.... Un grado di perfezione o di zelo di più, tante anime guadagnate e tanto zelo di più».

E, al termine del ritiro di otto giorni del 1790, tra i lumi e proponimenti scrive:

«Mi debbo armare di uno zelo ardente dell’altrui salute. Ma zelo prudente, benigno, caritatevole, e che mai provenga, o sia animato da amor proprio. Oh Signore mio, è ben giusto che richiediate ciò da me, che col cattivo esempio tanti avrò indotto al male. Sì dunque voglio impegnarmi tanto che potrò a ben edificare il prossimo, e quantunque sia uno strumento inutile, tuttavia sapendo che Vi servite anche di vilissimi vermi per operare la Vostra gloria».

Un desiderio così forte da poter dire: «Amare Dio, prima morire che inimicarseLo, essere disposto di mettersi sulla bocca dell’inferno per impedirvi che alcuno più non vi entri....».

«La maggior gloria di Dio si procura con far tutte le azioni e quelle sole che hic et nunc più piacciono a Dio, e farle tutte con la maggior perfezione, ossia applicazione interna ed esterna; procurare questo stesso nel prossimo il più che si può.... A me tutta la fatica, tutto il vantaggio al prossimo, tutta la gloria a Dio».

Il Lanteri voleva quasi “contagiare” gli altri: «Propongo di coltivare gente per Dio, e procurare d’ispirare zelo per la gloria di Dio, nelle occasioni che si presenteranno, e non lasciarne fuggire alcuna in [cui] possa chiaramente fare del bene».

Da adulto invitò a pregare affinché vi fossero ministri che avessero da Dio “gran santità e gran zelo, affinché attirino a Gesù molte anime con le loro parole e con i loro esempi”.

Animato da questo zelo gli occhi del Lanteri erano sempre aperti sulla cultura e sul mondo in cui viveva, sempre in continua ricerca di nuovi modi per promuovere la «gloria di Dio». Questo zelo non è «mai stanco», esso «non soffre limiti» e «non soffre [mezze] misure».

Del periodo tra l’ordinazione sacerdotale e la fine l’occupazione francese del Piemonte il biografo Gastaldi così riassume tutte le varie attività apostoliche che il Lanteri svolgeva:

«[…] avvegnaché lasciando per ora in disparte i disturbi e la fatica che gli dovevano essere il rispondere a tante lettere che gli erano indirizzate o per consiglio o per conforto, l’invigilare sul buon andamento delle tre società di cui parlammo più sopra [l’Aa, l’Amicizia Cristiana, l’Amicizia Sacerdotale], presiedere le adunanze e conferenze per giovani sacerdoti e de’ chierici, non perdere mai di vista né l’opera degli esercizi e delle missioni, né quell’altra di propagare dovunque e quanto più potesse i buoni libri, scrivere e dettare opuscoli ed articoli quando a difendere la verità, quando a combattere l’errore, l’essere assiduo al confessionale, e a non mai rifiutarsi a quanti sapesse abbisognare di lui; a tutto questo egli aggiunse il guidare nelle cose dello spirito alcuni monasteri di sacre Vergini, ed in modo speciale quelle del SS. Crocifisso e della Visitazione in Torino. In ogni settimana consacrava due giorni per quelle ottime religiose».

Ci si può soltanto meravigliare delle realizzazioni apostoliche su scala locale ed europea di quest’uomo. Fu chiamato, in verità, uomo «dalle cento braccia», sempre pronto a promuovere l’opera della Chiesa in molte direzioni, sempre presente nel centro della cultura politica ed intellettuale del suo tempo.

L’apprezzamento di queste sue realizzazioni diviene ancor più profondo quando si considerano le infinite e debilitanti infermità fisiche che gli ostruirono il cammino.

 

2. Tre principali direzioni apostoliche del Lanteri

P. Lanteri ha espresso lo zelo profondo che lo animava fondamentalmente in una triplice direzione apostolica:

2.1. L’evangelizzazione in profondità della persona

Il Lanteri si è fatto educatore delle coscienze principalmente attraverso il ministero della riconciliazione e la direzione spirituale. Era assiduo al confessionale passandovi, come era solito, lunghe ore[10]; ed era ricercatissimo anche come direttore spirituale. Di alcuni di questi penitenti - religiosi e laici  - ci è stato conservato il nome, ma i più, provenienti dalla aristocrazia, dalla borghesia e dall’umile popolo, sono rimasti e rimarranno sempre anonimi. Alcuni di questi venivano seguiti spiritualmente per lettera.

L’oblato Davide Emanuelli definì il Lanteri «sagacissimo conoscitore degli uomini». Gli aspetti salienti del tempo li lesse anzitutto nei suoi penitenti.

Nella confessione e nella direzione spirituale il Lanteri cercava fondamentalmente di raggiungere due obiettivi: ricuperare il senso della vera speranza cristiana, la speranza di poter effettivamente progredire nella vita spirituale ed arrivare alla salvezza eterna; e di formare nelle persone una vita spirituale robusta basata sulla spiritualità ignaziana e la frequenza dei sacramenti.

Il Lanteri era un apostolo della speranza. Insegnava che lo scoraggiamento e la tristezza sono i peggiori mali nella vita spirituale e che, al contrario, bisogna sempre guardare con speranza ferma e con confidenza verso l’aiuto e la misericordia che Dio ci dona. Conoscendo con realismo la debolezza della natura umana, considerava le mancanze nella vita morale e spirituale come occasioni di crescita nella conoscenza di sé e nella fiducia in Dio, e come delle opportunità per rinnovare il proprio impegno di vita cristiana, dicendo sempre: nunc coepi, ora incomincio. Questa disposizione di sempre ri-cominciare era per il Lanteri un esercizio della virtù morale della fortezza, che dà coraggio e perseveranza nel cammino spirituale.

Il Lanteri consigliava sempre una vita di preghiera semplice, e regolare. Il suo sistema di vita spirituale comprendeva l’orazione mentale, fatta secondo gli Esercizi spirituali; la lettura spirituale, per nutrire e rinforzare la preghiera; la frequenza dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, consigliando la comunione settimanale in un tempo quando molti consideravano già troppo quella annuale; l’esame quotidiano di coscienza per sradicare diversi difetti specifici e per acquistare delle virtù particolari; giornate e settimane di ritiro a tempi regolari. Eminentemente pratico nei suoi consigli spirituali, il Lanteri nota che tutto questo «non è poi così difficile come appare, massime aggiungendovi sempre il fiduciale ricorso a Dio... ».

Meno frequente invece e meno intenso fu per il Lanteri il ministero della predicazione: non che gliene mancasse il desiderio, ma perché la sua voce esile e la malferma salute non gli consentivano le fatiche di una predicazione vera e propria. In compenso però fu un vero apostolo degli Esercizi spirituali.

«E’ certo che il Lanteri abbia predicato, tra il 1786 e il 1800, parecchi ritiri in quelle apposite case che allora venivano chiamate ‘fabbriche’ e non erano altro che ambienti attrezzati ad accogliere per qualche giorni i gruppi degli ‘esercitandi’. Durante l’occupazione francese quelle case vennero tutte chiuse o quasi tutte. Allora il Lanteri decise di crearne una che fosse di sua proprietà e avesse così la tutela della legge».

In quest’ultima accettava sacerdoti, religiosi e laici che «o per dieci giorni o anche per un mese intero in null’altro si occupavano se non nel meditare o riformare in meglio la loro vita, o a perfezionarla se già riformata».

In seguito, con la riapertura del santuario di sant’Ignazio sopra Lanzo, sappiamo che il Lanteri e il Guala predicarono diversi esercizi al clero tra il 1808 e il 1818.

Da un documento contenente schematiche ma preziose note sul lavoro compiuto dal Lanteri in favore degli esercizi spirituali, veniamo a conoscenza che nello spazio di 27 anni, dal 1798 al 1826, egli abbia provveduto – direttamente o indirettamente - a qualche centinaio di esercizi spirituali.

Con la fondazione degli Oblati di Maria Santissima a Carignano il Lanteri, in quanto superiore, volle anche dirigere due corsi di Esercizi spirituali di otto giorni - rispettivamente nel 1817 e nel 1818 -, trasmettendo ai suoi figli spirituali la ricchezza della propria esperienza spirituale.

Quale efficacia attribuiva il Lanteri agli esercizi? Li considerava «uno strumento potentissimo della divina grazia per la riforma universale del mondo; una macchina efficacissima per espugnare i cuori; un metodo di cura universale e sicuro per sanare le anime inferme; una scienza pratica e metodo canonico, ossia approvato dalla Chiesa per santificare gradatamente qualunque anima; una miniera della divina Sapienza e vera fonte delle verità eterne». Uno strumento, quindi, per la conversione del cuore, «per vincere cioè la sua durezza e insensibilità, per indurlo così ad approfittare delle grazie che il Signore gli somministra», e per illuminare la mente, giacché «contengono una serie di meditazioni nelle quali si propongono non solo più verità a meditare una dopo l’altra, ma sempre una in conseguenza dell’altra, le quali tutte assieme unitamente alle Istituzioni formano un corpo come compito di quanto si ha da credere ed operare, adattato alle persone che ascoltano».

Il Lanteri era convinto che gli esercizi procurano: «...non solo la conversione, ma anche la santificazione, e questa in modo perseverante, ed ispirano di più lo zelo per la salute altrui inducendoli ad impiegare ogni mezzo per questo. [...] L’efficacia poi, e il pregio di questi Esercizi soltanto si conosce da chi li pratica sovente, e con questo metodo stesso».

2.2. L’evangelizzazione della cultura

Il Lanteri fu un attento conoscitore del suo tempo e seppe fare una lettura “critica” delle correnti di pensiero dell’epoca.

Lettore assiduo dei giornali (“gazzette”) e di libri messi all’indice, frequentatore di librerie e di biblioteche, attento agli indirizzi dei professori delle università, pronto ad aiutare gli studenti con scritti brevi e chiari, vicino con l’ascolto e con la parola ai diversi strati della popolazione, cercò di comprendere come pensasse l’uomo del suo tempo e quali fossero le sue necessità spirituali.

Alla scuola del Diesbach il Lanteri aveva compreso come il libro era lo strumento privilegiato del tempo per trasmettere le idee. Il Lanteri, molto sensibile al “danno gravissimo che l’esperienza dimostra risultare nelle anime” dal contatto con “libri cattivi”, aveva colto in questo un campo particolarmente urgente nella Chiesa del suo tempo: «E’ sempre stato necessario per il passato usare ogni mezzo per impedire la lettura dei libri cattivi, e promuovere i libri buoni, in questi tempi principalmente vi è una necessità somma, ed un dovere gravissimo, ed indispensabile».

I libri erano per il Lanteri uno strumento «facile ed efficace» «per combattere ogni errore, per allontanare le anime dal vizio, e per promuovere nelle anime buone le virtù teologali e la pietà, giusta le loro diverse disposizioni interne».

Attraverso le «Amicizie» il Lanteri provvide a diffondere numerosi «buoni libri» sia tra il popolo, ma anche tra il clero. Specie durante il periodo dell’occupazione francese in Piemonte, provvide a diffondere opuscoli a difesa dell’autorità del Santo Padre e del suo primato, e altri per far conoscere la sana dottrina della Chiesa, confutando vari errori diffusi dagli illuministi del tempo. Instancabile era la sua attività di lettura e di informazione su quanto si stampava a livello europeo, pronto a segnalare e refutare l’errore.

Egli stesso scrisse diversi opuscoli polemici, quali, ad es: Vera idea del matrimonio, Osservazione sopra catechismo, Esame dottrina Sineo, Del conciliabolo di Parigi, Osservazioni sopra Bossuet, Sovra il supposto concordato pubblicato con decreto imperiale il 13 febbraio 1813, Idea della Società Biblica, Analisi trattato De Gratia, Osservazioni errori Eineccio e Genovesi, Sul giuramento di fedeltà che si vuole esigere da tutto il clero anche regolare, ecc.

Il Lanteri voleva che anche gli “Amici” (sacerdoti e laici) fossero uomini di cultura. Era importante formarsi sui libri buoni, stampandone anche di propri, ma anche mantenersi informati attraverso la lettura delle gazzette. Ai membri dell’Amicizia Sacerdotale il Lanteri così motiva la lettura di esse all’inizio delle adunanze:

«Questo serve: 1° a prendere la carta morale del mondo;

2° ad assuefare l’ecclesiastico a non restringere le sue idee e il suo interessamento al solo suo paese, ma a guardare tutto il mondo per sua patria, tutti gli uomini del mondo per suoi fratelli, e interessarsi come veri figli e ministri della nostra madre Santa Chiesa Cattolica Romana per tutti i beni e mali morali del mondo che tanto da vicino interessano il Sacro Cuore di Gesù;

3° per poter così più facilmente introdursi con i secolari a parlare loro di Dio all’esempio di S. Francesco di Sales e di S. Francesco Saverio, e di tanti altri Santi.

2.3. La formazione degli evangelizzatori

Il Lanteri si dedicò alla formazione dei membri delle organizzazioni delle «Amicizie»: laici e sacerdoti.

L’impegno del Lanteri nell’Amicizia cristiana di Torino comportava un enorme lavoro perché spettava soprattutto a lui applicarsi allo studio continuo e profondo dei libri, applicandosi anche a scrivere o a tradurre delle opere. Come testimonia il Simonino, «leggeva con sì profondo criterio, che a prima giunta, ed a pochi tratti conosceva non tanto lo scritto, quanto lo spirito dello scrittore; nemmeno leggeva solo di passaggio, ma con serbar impresso talmente il giudizio di ciascuna dottrina, che di moltissimi autori teologici, ascetici, polemici, o morali che fossero, ben sapeva accennare in quale argomento, e per qual capo in tale o tal’altro avesse detto il meglio, e quale in una materia, quale in un’altra dovesse preferirsi».

Con accuratezza preparava gli argomenti da discutere nelle adunanze. Ogni assemblea iniziava con una lettura spirituale; seguiva la riflessione su un libro – ricordiamo che ogni “amico” si era impegnato a leggere i libri buoni indicati nel “catalogo”, sia per la propria formazione sia per meglio diffonderli, suggerendoli ad altri in modo oculato – e/o si discuteva sui mezzi per far progredire l’Amicizia.

Inoltre contemporaneamente alla formazione culturale non doveva mancare quella spirituale, in particolare – oltre alla lettura dei libri di pietà – attraverso quei mezzi che ben già conosciamo: la confessione, la direzione spirituale, e gli esercizi spirituali. Riguardo quest’ultimi il Gastaldi ci ricorda che

«gli amici cristiani e gli amici sacerdoti che vi concorrevano [agli esercizi] s’infiammavano sempre più nel loro zelo, e per quest’opera concepivano sempre maggiore stima, vedendo il vantaggio che per se stessi ne ricavavano».

Nei confronti del giovane clero e dei chierici che si preparavano a ricevere il sacerdozio: «Il Lanteri ebbe la costante preoccupazione di attirare a sé studenti di teologia e giovani sacerdoti, per formarli ad una soda pietà e ad una cultura sana e profonda, onde renderli capaci di un apostolato veramente fruttuoso. Le sue cure per le due società già commemorate, l’Aa dei chierici e l’Amicizia sacerdotale, sono espressioni di questo zelo illuminato e ardente del Venerabile. A ciò si deve aggiungere la predicazione di molti corsi di esercizi spirituali per ecclesiastici; la fondazione del Convitto ecclesiastico di Torino […]; e in particolare la direzione spirituale che lo rese padre di un largo stuolo di sacerdoti insigni per virtù e opere di apostolato».

Dai membri dell’Amicizia sacerdotale il Lanteri esigeva una duplice preparazione, spirituale e culturale.

Prima di tutto la preparazione spirituale, la santità personale, la vita di grazia e di unione con Dio attraverso la purità di coscienza, lo spirito di orazione, l’amore alla solitudine, l’attendere per se stessi agli Esercizi spirituali,

«l’uso frequente dei santi sacramenti, l’esercizio della meditazione seria, abbondante e quotidiana delle verità sante della nostra religione e della vita di Gesù Cristo, con la lettura spirituale e con l’esame quotidiano di coscienza, senza omettere lo studio serio della teologia dogmatica e morale».

La preparazione culturale si svolgeva su tre dimensioni tra loro complementari. Fare dei membri ottimi predicatori del Vangelo e specialmente degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio, diffondere i buoni libri a fianco dei laici dell’Amicizia Cristiana, adottare il metodo “benigno”, secondo la dottrina morale di S. Alfonso de Liguori, nell’amministrazione del Sacramento della penitenza. Lo studio approfondito della teologia morale doveva formare ecclesiastici che «conoscano il fondo delle cose e delle persone, e le molle e i mezzi dello spirito pubblico che ivi regna, e delle sue sorgenti».

Ogni settimana si teneva l’adunanza che Lanteri preparava accuratamente. Il discutere sui beni o mali esistenti in ciascun paese, per risolvere un caso di morale, per analizzare un libro o una predica fatta secondo il metodo di S. Ignazio, fu in vista dell’apostolato.

Per la predicazione degli Esercizi ogni membro dell’Amicizia sacerdotale doveva preparare in iscritto un corso completo di meditazioni e di istruzioni (le cosiddette “mute”) sia per le missioni al popolo sia per gli Esercizi chiusi, “secondo il metodo proposto da S. Ignazio”. Una biblioteca comune forniva i testi e i sussidi necessari. Le “mute” venivano poi lette nelle adunanze e ciascuno era invitato ad esporre le sue osservazioni e suggerimenti.

Poi a turno si presentava l’analisi di un libro al fine di entrare in possesso delle conoscenze utili “a spargere con la maggior efficacia la Parola di Dio a voce e in iscritto”.

«Indicibile è... il vantaggio che si può ricavare dalla cognizione di questi libri, poiché con l’uso di essi, quante anime si disingannarono dei loro errori, quante trionfarono delle loro passioni ed entrarono nella via della salute, quante altre furono preservate dai pericoli della seduzione, e quante fecero progressi immensi nella virtù. Chi non ne ha l’esperienza può dedurne il vantaggio dal danno che recarono sempre, ma massime nei nostri tempi, i libri cattivi.

Con l’allontanamento del Lanteri da Torino, le “Amicizie” cessarono ogni attività. Ma, subito, terminato l’esilio, il Lanteri radunò i giovani sacerdoti delle Conferenze di Teologia morale nella “Pia Unione di San Paolo”, della quale faranno parte insigni sacerdoti della diocesi di Torino, tra i quale il teologo Guala e il Reynaudi. Il Guala sarà il realizzatore del Convitto Ecclesiastico di Torino, ideato e voluto dal Lanteri per dare stabilità alle Conferenze di Teologia morale, da allora rese obbligatorie a Torino per tutti i sacerdoti. Dal Convitto Ecclesiastico prenderà avvio a Torino quel filone di santità sacerdotale e di iniziative ecclesiali nei vari ambiti, educativo, caritativo, pastorale, che hanno illustrato la chiesa torinese della seconda metà del XIX secolo(cfr. Valentini, La formazione del clero..., Lanterianum, vol VIII, n.1, Aprile 2000, p. 47ss).

 

3. Oblati zelanti

Gli Oblati di Maria Vergine, come scrive il Lanteri, sono:  “una pia unione di ecclesiastici pienamente consacrati a Maria Vergine e uniti tra di loro con il vincolo della carità, al fine di attendere con la grazia divina, sotto la materna protezione di Maria Santissima, seriamente e avanti ogni cosa alla salute e santificazione di se stessi con imitare Gesù Cristo più da vicino, e in secondo luogo alla salute e santificazione del prossimo, principalmente con il mezzo degli Esercizi di sant’Ignazio”. 

Secondo il Lanteri, l’oblato doveva essere un uomo di profonda e sentita vita interiore per rendersi abile e zelante apostolo imitando Cristo che è «il Missionario adorabile che il Padre eterno ha inviato agli uomini». Per l’oblato è quindi “il puro amore di Dio e il puro zelo della salute delle anime” a motivare il suo ministero. Esso è tale:

“che conduce ed induce i membri della Congregazione a non risparmiarsi in modo alcuno, soprattutto in tempo di santi Esercizi, ed a superare ancora tutte le difficoltà che s’incontrano, le quali talvolta non sono piccole”.

Nel Direttorio il Lanteri insistette sulla necessità di cercare modalità che portino al raggiungimento della salvezza delle anime. A tale scopo, l’oblato dovrà liberarsi da tutto ciò che può rappresentare un impedimento, come l’attaccamento alle ricchezze terrene: “Gli Oblati di Maria Santissima sono solleciti di attendere a distaccare il più che possono il loro cuore dai beni di questa terra […] e consacrarsi senza riserva al servizio di Dio e del prossimo...”.

Se nelle proprie case religiose il Lanteri voleva che gli oblati, negli intervalli tra un ministero e l’altro, attendessero all’orazione e allo studio, nell’esercizio del loro ministero voleva che fossero “come tanti apostoli che desiderano di essere nel numero di coloro che hanno votato la loro vita al nome del nostro Signore Gesù Cristo (At 15,16)”.

Il ven. Lanteri accoglieva negli Oblati solo quelle persone che desiderassero: “la maggior gloria di Dio e la maggior salute delle anime”. Non per nulla in un altro scritto chiede espressamente di verificare nel candidato le disposizioni per essere accettato in Congregazione, la prima delle quali è: “volontà seria di farsi santo”, a cui segue poi “lo spirito di obbedienza, di convivenza, di ritiratezza... talento sufficiente o per dare gli Esercizi o per attendere alle confessioni.

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05 Settembre 2024

La pedagogia ignaziana

lanteri esercizi

 

 

1.  La pedagogia ignaziana  nella vita spirituale del Lanteri

Se leggiamo il Direttorio spirituale (che è probabilmente il frutto di un prolungato corso di esercizi spirituali) subito ci accorgiamo che fin da giovane il Lanteri ha strutturato la sua vita spirituale secondo la pedagogia ignaziana.

 

1.1. La meditazione

Era ben curata. Il Lanteri applicava fedelmente le varie indicazioni che S. Ignazio propone all’esercitante nei suoi esercizi per disporsi meglio alla preghiera.

«1. Prevedere il giorno avanti i punti ed il frutto, e rammentarsene svegliato, per non tentare Dio al tempo dell’orazione.

2. Giunta l’ora prefissa, procurare di essere tranquillo e raccolto, dimenticandosi delle creature per entrare come si deve in commercio con Dio, e di schivare i difetti della meditazione precedente. Quindi 2 passi lontano dall’Oratorio il segno della S. Croce. Profondo inchino con atto di fede della presenza di Dio, unico mio scopo che mi vede, mi ascolta, e premuroso del mio bene mi vuol parlare, considerandone il suo essere bontà e bellezza, e con atto di adorazione alla Santissima Trinità, o a Gesù Cristo. […] 1° preludio secondo la materia; 2° chiedere l’assistenza dello Spirito Santo...e grazia di ricavarne il frutto prefisso, ed il tutto in 2 o 3 minuti»[1].

Anche nello svolgimento della sua meditazione, Lanteri è prettamente ignaziano:

«4. Proporre la materia, atto di fede, esaminarla con autorità di Scrittura e Santi Padri, con la ragione, con similitudini ed esempi, dilucidarla, e trarne le conseguenze certe.

5. Produrre affetti, risoluzioni, proponimenti massime particolari e riguardanti le pratiche già proposte, e questo in ciascun punto.

6. Ringraziare Dio dei lumi, Confirma etc., la supplica del Pater, Sub tuum etc.»[2].

Nella conclusione stessa della meditazione, il Lanteri continua a seguire il metodo ignaziano con il suo tipico esame dell’orazione:

«7. Un’occhiata ai difetti occorsi con proposito di rimediarvi, un’occhiata ai lumi, risoluzioni, occasioni di praticarle, altrimenti procurarne atti interni od esterni.

I difetti sono distrazioni, tedio, aridità, desolazione; la causa difetto di preparazione, o applicazione e riverenza, esser troppo attaccato ai propri lumi oppure antecedentemente libertà di conversare, parlare cose vane, affetti, sollecitudini temporali»[3].

Pio Bruno si propose di raccogliere le ispirazioni che sentiva più forti nell’orazione in un piccolo quaderno tascabile: «[Propongo di] Ridurre le mie massime e il metodo dei miei esercizi spirituali in un librettino portatile»[4]. La funzione di questo “librettino portatile” era duplice: infatti serviva al Lanteri (che, tra l’altro, conserverà quest’abitudine anche da anziano) per ravvivarsi spiritualmente in quella grazia particolare che gli aveva toccato il cuore attraverso quel determinato pensiero o quella Parola di Dio meditata; in secondo luogo gli era molto utile anche per il confronto con il suo direttore spirituale cui egli rimetteva ogni giudizio con voto di ubbidienza.

 

1.2. Gli esami di consapevolezza

La mancanza di consapevolezza spirituale è per il Lanteri la radice di ogni impoverimento spirituale, di ogni fallimento morale significativo e prolungato. Alla scuola di Ignazio fin da giovane il Lanteri imparò la fedeltà alla pratica degli esami di coscienza particolare, generale, e quello relativo alla propria esperienza di preghiera. Destinava un giorno al mese per un ritiro personale e frequentemente uno spazio di parecchie ore alla settimana per rivedere le sue attività e per determinare come impiegare con crescente efficacia le sue energie apostoliche.

I suoi scritti personali abbondano di riferimenti agli esami ignaziani. Per esempio, in un librettino portatile del 1782 si propone:

«– Per l’esame generale: il male, il bene, e quanto ben fatto.

– Ricordati dell’esame in fin della meditazione. […]

– Una mortificazione la mattina e la sera a tavola.

– Cercare occasioni per l’esercizio della virtù particolare.

– Esame mattina e sera; paragonare i giorni e le settimane; per ciò notarne il numero in carte con lapis. Significarne al direttore gli atti».

Circa dieci anni dopo, al termine di un corso di esercizi, si propone i seguenti rimedi:

«Provarsi sovente fra il giorno, cioè con frequenti esami se veramente:

– amo Dio sopra ogni cosa;

– amo il prossimo come me stesso;

– e se attendo seriamente all’abnegazione di me medesimo.

Quindi concepire: un santo impegno a contrariarmi e praticare la virtù nelle occasioni per formarne l’abito, un distacco e disprezzo delle cose puramente temporali, indegne dell’affezione del mio cuore, una santa ostinazione a trattare santamente le cose sante».

Per questo dovrà tenere viva l’attenzione nell’azione: «Nell’esame cercherò se ho cominciate, continuate, finite le mie azioni per passione o per ragione o per fede, se si è accompagnata la negligenza».

Sembra certo che l’accidia o pigrizia spirituale fosse ciò che il Lanteri sentiva come uno dei maggiori ostacoli nel suo cammino di santità. Individuato il nemico il Lanteri passa all’attacco: «Se io la prendo solo sotto l’aspetto di mortificarmi, questo è come uno stato violento che non dura, conviene che lo prenda (come l’esperienza me lo comprovò) sotto l’aspetto di libertà di spirito, di generosità d’animo, e per procurarmi più efficacemente questa virtù, non trovo miglior mezzo che il prefiggermi di cercare in tutto la maggior gloria di Dio…».

Interessante la sua strategia: no ad un attacco sotto l’insegna della mortificazione frustrante, perché questa provoca “uno stato violento che non dura”. Qui il Lanteri dimostra acume psicologico e spirituale non indifferente. Una lotta intrapresa all’insegna di una spinta o motivazione positiva (qualcosa di buono o migliore da acquisire), ha più presa nell’animo e possibilità di durata nel tempo che la stessa lotta intrapresa per una motivazione negativa (qualcosa di non buono da togliersi). In altre parole è più entusiasmante e facile lottare per acquistare una virtù, che per togliersi un difetto, e poiché la lotta è la stessa, ne segue che è più facile eliminare i difetti lavorando sulle virtù contrarie (per questo il Lanteri pianificherà la sua lotta all’accidia impegnandosi maggiormente per la gloria di Dio):

«[…] esaminandomi sovente se quel che faccio è il meglio che possa fare per glorificar Dio, e se lo faccio nel miglior modo possibile, sempre con Gesù Cristo per esemplare, così mi rendo superiore a me stesso e trovo un motivo nobile ed efficace per disprezzare i miei comodi o altro fine umano nell’agire che sono gli impedimenti dell’applicazione, essendo sempre venuti i miei difetti o dal timore d’incomodarmi o di essere disprezzato».

 

1.3. L’ascesi

Già da giovane chierico il Lanteri faceva proprio sul serio con il suo Dio, sapeva quello che cercava e lo cercava con tutto se stesso, giocando tutto per Dio, impegnandosi nel modo più assoluto e radicale consentito nel suo stato di vita, anche con la mortificazione esterna.

Quella interna attuata attraverso il suo severissimo programma di impegni che prevedeva una lotta continua all’ozio e alla dissipazione: così si esprime nel suo Direttorio Spirituale: «Non debbo mangiare e dormire che quando e quanto bisogna per vivere; non vivo che per gloria di Dio” e perciò “via ogni pensiero inutile».

Riguardo la mortificazione esterna (sempre intesa come strumento sia per «vincere se stesso» sia per «ottenere qualche grazia o dono che si vuole o si desidera».

Da alcuni fogli di annotazioni spirituali vediamo anche l’aspetto ascetico della lotta al proprio difetto predominante (l’accidia) quale mezzo per realizzare la santità, che il giovane Lanteri si prefigge di condurre in una triplice direzione: contro il rispetto umano, contro lo scoraggiamento, contro la negligenza nelle proprie pratiche di pietà.

a) La lotta contro il rispetto umano.

«1 – Sempre pensare, parlare e operare da santo: il mio stato lo richiede e le ragioni che mossero i santi sussistono anche per me. Perciò sempre apertamente e liberamente mi dichiarerò dalla parte di Dio, mi pregierò a faccia scoperta di essere buon cristiano e vero ministro di Dio.

Se sarò burlato e deriso dagli uomini, sarò onorato da Dio; anzi m’intenderò di essere tenuto per grande del suo regno, giacché si degna di pormi in capo la Sua stessa corona: mezzo ottimo, questo, per vincere i rispetti umani».

Al primo posto quindi vediamo quindi l’impegno del Lanteri nella lotta contro il rispetto umano, contro la timidezza spirituale che blocca la libertà della persona di manifestarsi quale essa è per la paura di essere derisa e criticata. Si tratta di raggiungere la piena libertà di spirito nelle relazioni con gli altri, instaurando con tutti relazioni cordiali, affabili, semplici, allegre, ma soprattutto libere, cioè libere dalla paura di dire o fare qualcosa che possa contrariare l’altro, manifestandosi serenamente per quello che si è. Sempre pronti ad accondiscendere all’altro per amore, purché venga rispettata la verità e l’onore di Dio.

b) La negligenza nelle pratiche di pietà. Il secondo campo della lotta spirituale è, per il giovane Lanteri, la costanza, la fedeltà nel fare gli esercizi di pietà:

«2 – Quindi sempre inviolabilmente fedele a Dio e costante nei miei soliti esercizi di pietà e a qualunque prova. Perciò: 1o anche di fronte a qualunque persona autorevole, in qualunque circostanza o avversità, praticherò la generosità di animo, la libertà e tranquillità di cuore».

Tutta la cura e l’attenzione che emerge nei suoi scritti giovanili nel tenersi sotto controllo per evitare il vizio della negligenza denota l’importanza che egli dava alla virtù della diligenza e della costanza nel portare avanti il programma personale di santificazione con tutto quanto fissato su consiglio del direttore spirituale. No, il Lanteri non era spontaneamente diligente e metodico, lo era diventato con l’aiuto della grazia divina e il suo incessante impegno a tenersi sotto controllo (non perché egli fosse negligente e incostante, ma perché molto probabilmente ne sentiva la forza di seduzione interiore, la tentazione di esserlo).

c) La lotta contro lo scoraggiamento che doveva aver molto provato il giovane Lanteri sia per quanto riguarda il suo desiderio di portare a termine gli studi, lottando contro una salute malferma e un’infiammazione oftalmica che rendeva lo studio faticosissimo, sia per quanto riguarda il suo rapporto con la propria fragilità umana, sia – infine – per il persistere delle tentazioni nei confronti delle quali ricorre ad una strategia per vincerle.

 

1.4. La direzione spirituale

Nel 1779 il giovane Lanteri, studente di teologia, venne a contatto con il Diesbach, rivolgendosi a lui per la direzione spirituale. La direzione spirituale di Diesbach ebbe un effetto decisivo nell’orientamento spirituale del Lanteri. Dopo la partenza del Diesbach per la capitale austriaca purtroppo non conosciamo l’identità di chi il Lanteri scelse come direttore. Sappiamo comunque che egli si lasciava docilmente guidare da un sacerdote a cui, come afferma il Gastaldi, «era interamente aperto e soggetto». Nel Direttorio spirituale vediamo l’importanza che il Lanteri attribuiva a tale apertura quando parla delle armi contro le tentazioni: «Manifestare tutte le tentazioni al Padre spirituale, e si vedono effetti miracolosi e prestissimi, cagionati dall’efficacia di quell’atto d’umiltà e il demonio fa ogni sforzo per disturbarci, disse anche lo Spirito Santo: Guai a chi è solo, perché se cade non ha chi gli porga la mano per levarsi in piedi».

 

2. La pedagogia ignaziana  nella direzione spirituale del Lanteri

Sfogliando le lettere di direzione spirituale del Lanteri possiamo ritrovare la presenza della pedagogia ignaziana tra i vari consigli spirituali che aveva attinto dai grandi maestri della vita spirituale. Tutto dev’essere fatto con ordine e metodo. È questo uno dei punti sui quali il Lanteri insisteva: ordine e metodo sia nell’agire (ordine delle principali azioni della giornata) sia nella vita spirituale. Tutto ciò in accordo con i doveri della persona verso la famiglia e il lavoro.

«E’ assolutamente necessario ben impiegare il tempo e santificare le nostre azioni. Ma come è possibile riuscirci? E’ con l’ordine che impieghiamo bene il tempo, e con il metodo, e lo spirito interiore (intenzione pura e fervore), e la vita interiore che santifichiamo le nostre intenzioni.

Occorre dunque 1) fissare un certo regolamento d’orario per le azioni principali... non mancando ad osservarlo per leggerezza o per ripugnanza se non per una valida ragione (per ragioni di obbedienza, di carità), e nella pratica preferire sempre le azioni più importanti verso gli altri, e quelle d’obbligo rispetto a quelle supererogatorie.

Occorre 2) procurarsi una vita interiore con una buona pratica di pietà, ma ben fatta, con metodo, come la Santa messa, la meditazione, la lettura spirituale, l’esame di coscienza».

Il Lanteri è convinto, con sant’Ignazio e gli altri maestri di vita spirituale, che solo da un’orazione metodica si può ricavare qualche frutto concreto. Per la meditazione e gli esami di coscienza il Lanteri indica sempre il metodo ignaziano. Accanto ad essi troviamo indicazioni di metodo per la partecipazione alla Santa messa e per la lettura spirituale.

Per quanto riguarda al fedeltà, in una lettera di direzione spirituale a Pietro Leopoldo Ricasoli il Lanteri esorta: «Io non potrò mai per questo abbastanza raccomandarle la meditazione quotidiana delle massime sante di nostra Religione, ma fatta con vero impegno e con affetto, e proseguita con una santa ostinazione, e sempre, per quanto si può, in una data ora fissa del giorno. Gioverà poi molto a facilitarle un tale esercizio la lettura spirituale fatta ogni giorno tranquillamente sopra i libri scelti di pietà».

Ad una dama penitente raccomanda: «Fare gran caso della fedeltà negli esercizi di pietà, guardarsi da quel tacito disprezzo con cui si dice che non importa lasciare la meditazione, o la lettura, o l’esame etc., ora per compiacere agli uomini, ora per qualche occupazione o indisposizione. Sanno i demoni che se non tagliano allo spirito questi capelli, mai non potranno legare questo Sansone».

E, a Suor Crocifissa Bracchetto circa la fedeltà alla meditazione scrive: «Cominciarla con desiderio ed amore. Non lasciarla mai, né diminuirla per noia, o distrazione. Vale più un’oncia di orazione fatta con pazienza, che mille libbre d’orazione con fervore sensibile».

Per quanto riguarda l’importanza degli esami (particolare e generale), così il Lanteri raccomanda ad una religiosa:

«Nell’ora del Vespro, procuri di fare il suo esame particolare sopra l’acquisto di qualche virtù, o l’emendazione di qualche difetto; essendo che la persona spirituale deve sempre avere in vista qualche nuovo acquisto di virtù, per cui deve ordinare il suo esame particolare ed il frutto di sue meditazioni e comunioni. Io molto le raccomando la pratica di questo esame, acciò l’anima sua non divenga simile alla vigna dell’uomo pigro, della quale dice il Savio che passò per essa, e vide che la siepe d’intorno era caduta e che ogni cosa era piena d’ortiche e di spine, onde, affinché l’anima sua non cada in così misero stato, sia molto sollecita di valersi di questo mezzo, né mai desistere, né perdersi d’animo per le difficoltà...».

La invita anche a non trascurare il ritiro mensile:

«Un altro mezzo le propongo per tenersi stabile nella strada della perfezione, ed è il fare ogni mese un giorno di ritiro, e vorrei che lo facesse con tutto l’impegno, come fa ora nel noviziato. Si guardi di lasciarsi entrare in capo quell’inganno che per trovarsi in un officio, in cui non può avere un giorno tutto libero per potervi attendere, sia meglio non lo fare; questo è un consiglio della tiepidezza che induce con vani pretesti a non fare nulla, perché non si può fare tutto. Ma come si vede chiaro che male la discorrerebbe chi, per non poter fare un pranzo di mezz’ora, lasciasse di farlo di un quarto, e si rimanesse tutto il giorno digiuno, così può facilmente scorgersi l’insussistenza di questa scusa; onde non la pensi così, ma lo faccia al meglio che può, e sempre lo faccia, benché non avesse tempo che di fare una sola meditazione ed un esame sopra lo scorso mese».

In una lettera ad una signora – con chiaro riferimento alle regole ignaziane sul discernimento degli spiriti - il Lanteri spiega che una tristezza buona in seguito ad una caduta viene da Dio, mentre una tristezza cattiva viene dalla superbia.

«Dobbiamo guardarci più che mai dopo la caduta degli effetti della superbia. Anche la superbia sa pentirsi dei mancamenti e con grande pentimento, e tale che induce talvolta a una durissima penitenza, fino alla disperazione, poiché non può soffrire la vista dei suoi peccati, non tanto per il dispiacere di aver offeso Dio, quanto per vedersi difettoso. Ora a questo cattivo dolore e pentimento si deve gagliarda resistenza, perché cagiona nell’anima una tristezza inutile che non nasce da Dio, né per Dio, ma dalla propria presunzione e dal non conoscere l’uomo la propria fiacchezza e miseria, e in questo tempo che perde, dolendosi inutilmente, commette maggior colpa di quella per cui si duole...».

Non mancano inoltre nelle lettere gli inviti al combattimento del difetto predominante. Ad esempio ad  una dama penitente il Lanteri suggerisce: «Mi guarderò dall’ozio, come fonte di ogni male, e sempre mi terrò occupata nel lavorare, o nel leggere, o nel pregare...; farò sempre tutto con grande volontà, e per Dio, e anche le cose piccole avranno grande peso».

Per quanto poi riguarda l’importanza dell’apertura del cuore alla guida spirituale, così raccomanda alla medesima: «Manifestare tutte le tentazioni al Padre spirituale: è indicibile il bene che se ne ricava, 1) per l’atto di umiltà; 2) per i lumi che si ricevono; 3) per la riformazione, o perseveranza della nostra condotta».

 

3. Gli esercizi spirituali come efficace mezzo apostolico

Guardando al suo mondo con occhio di fede, e pieno di una tale sollecitudine per la salvezza della persona umana, il Lanteri coglie con forza e con dolore il divario grande che esiste sovente tra ciò che si crede e ciò che si vive. Gli uomini e le donne della sua società in genere sono cristiani, hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana e si dicono seguaci della dottrina di Cristo. Però, nel concreto, dato un ambiente sociale sempre più alieno dai valori di questa fede, molti sono portati quasi insensibilmente a giudicare, a scegliere, a orientarsi in base a criteri diversi da quelli evangelici.

Il Lanteri, guidato dallo Spirito a sentire fortemente l’esigenza, nella Chiesa, di un mezzo pratico, accessibile alla gente di tutte le condizioni sociali, ed efficace, per aiutare tutti a far «far rivivere la fede, e riformare i costumi»[34], sceglie – anche in forza della propria esperienza spirituale – gli esercizi spirituali.

«... gli esercizi di S. Ignazio non consistono solamente nel passare alcuni giorni nella quiete dell’orazione, e nell’impiegare maggior tempo per attendere a Dio solo ed all’anima sola, ma consistono nel meditare una serie di verità, non comunque una dopo l’altra, ma una in conseguenza dell’altra, le quali unite con ordine

- presentano all’intelletto un’istruzione adattata, a ciascuno, e come completa di quanto si ha principalmente da credere ed operare verso Dio, il prossimo, e se stesso, e una vera fonte di verità e miniera inesauribile di sapienza divina;

- e presentano alla volontà, quanto al passato, una macchina potentissima per espugnare il cuore, ed un metodo efficacissimo per purgare l’anima dalle ree affezioni con farle conoscere, piangere e confessare; quanto al presente, una scienza pratica per avanzarsi con l’imitazione delle virtù quotidiana ed eroiche di Gesù, e un metodo canonico, ossia approvato dalla Chiesa per santificarsi grandemente; quanto all’avvenire, un piano di riforma interna ed esterna che dura.

Insomma gli Esercizi di S. Ignazio sono, in genere, uno strumento potentissimo della Divina Grazia per la riforma universale del mondo, ed in particolare, un metodo sicuro per ciascuno di farsi santo, gran santo, e presto».

Ecco un altro brano nel quale il Lanteri descrive l’efficacia degli esercizi in ordine alla santificazione:

Cos’è farsi santo? È distruggere l’uomo vecchio e vestire l’uomo nuovo...; si debbono dunque lavare le macchie del peccato; si deve ristabilire la somiglianza, l’immagine di Dio, la quale consiste non nel somigliargli nell’onnipotenza, Sapienza, immensità, ma nella santità, cioè nel rendersi modello delle sue virtù...

- Essere santo vuol dire, quanto alla memoria [36], dimenticarsi di tutto il creato e non occuparsi che di Dio, trovare Dio in tutti gli avvenimenti, vedere Dio in tutte le cose, riferire tutto a Dio, essere sempre fisso in Dio, rassomigliare così a Dio stesso che sempre si occupa di se stesso, si compiace di se stesso, è beato di se stesso.

- Essere santo vuol dire, quanto all’intelletto, disprezzare tutte le cose terrene, stimare solo le eterne per venire così a stimare niente, disprezzare niente altro che ciò che stima o apprezza Dio stesso, e uniformare così i nostri giudizi con quelli di Dio, i quali soli sono giusti ed infallibili.

- Farsi santo vuol dire, quanto alla volontà, raddrizzare i suoi desideri e timori, cioè non desiderare né temere che l’eterno; non essere soggetto alle sue prave inclinazioni che fanno che l’uomo desideri o tema ciò che non deve né desiderare né temere, per essere inoltre [pronto a] tenere lontano dal cuore ogni perturbazione o mutazione, essendone la causa di queste il desiderio o il timore di cose terrene, e così venire ad avere un cuore quieto, tranquillo e immutabile... Ora tutto ciò si opera nei S. Esercizi.

Più ancora farsi gran Santo vuol dire essere disposto a praticare sempre nelle occasioni, atti eroici di fede, di speranza, di carità verso Dio, verso il prossimo, avere sempre per fine del suo pensare, parlare, operare la Maggior Gloria di Dio. Ora anche a questo ci portano i Santi Esercizi. [...]

Dunque lo scopo di questi Esercizi si è farci Santi, gran Santi e presto; e noi dobbiamo corrispondervi perché Dio lo merita, la vocazione lo esige, il mondo ne abbisogna e vi entra il nostro interesse.  [...] Chi ci può essere utile fuori di lui fonte e sola fonte d’ogni bene? È ingratitudine enorme dunque non farsi santo».

Il Lanteri è entusiasta degli Esercizi ignaziani: «non essendovi al mondo cosa così interessante quanto il poter passare tranquillamente alcuni giorni unicamente occupati dai grandi oggetti, Dio, Anima, Eternità»[38], è convinto che «gli Esercizi di S. Ignazio meritamente si possono preferire a qualunque altro genere di predicazione... L’esperienza dimostra quanto siano stati benedetti dal Signore, atteso il grandissimo frutto che se ne vede, sempre che si danno e si fanno come si deve»,

 trovando quindi negli stessi Esercizi «il fine essenziale» del suo carisma apostolico: «Gli Esercizi si daranno esattamente secondo il metodo insegnato da S. Ignazio. Gli Oblati di Maria Santissima vi si consacreranno con tutto l’impegno possibile, usando tutte le avvertenze proposte dal santo Autore, e le industrie suggerite dall’esperienza, e perciò ne faranno uno studio particolare e consulteranno chi ne ha l’esperienza».

Non a caso nelle Costituzioni degli Oblati di Maria Vergine al primo posto della loro missione ecclesiale vengono indicati gli esercizi: «attendono, con tutto l’impegno, alla santificazione del popolo di Dio, principalmente col guidare gli Esercizi Spirituali e col promuoverne la pratica il più possibile, sia in pubblico sotto forma di missioni popolari, secondo la genuina tradizione lanteriana, sia in privato, preferendo lo spirito e il metodo proposto da S. Ignazio».

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1.  «La mia dottrina non è mia,  ma di colui che mi ha mandato» (Gv 7,16)

Con queste parole, Cristo, nello svolgere la sua missione di profeta, esprime la sua fedele adesione al Padre che lo ha mandato e che egli ama. Sono parole che rivelano al Lanteri un atteggiamento profondo del cuore di Cristo che egli vuole ricopiare nel proprio spirito e nella propria prassi. Di qui il suo amore e la sua piena adesione alla Chiesa, dalla quale egli si sente mandato nel suo ministero apostolico. Vuole seguire in tutto le decisioni della Chiesa.

«Il ministro della parola di Dio deve poter dire sempre ai suoi auditori con il Divino Maestro: “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato” (Gv 7,16), cioè della Chiesa. Deve egli insomma essere banditore sincero di non altro che delle decisioni della Chiesa sui dogmi della Fede, o sui precetti di morale; altrimenti facendo, esce fuori delle missione, e falsamente pretende di parlare a nome della Chiesa, dicendo ciò che essa non ha mai detto».

Il Lanteri si accorse come in Piemonte venissero insegnati i principi di Richer, Van Espen, Febronio, Eineccio e Genovesi, mediante la libera circolazione di testi che facevano male alla Chiesa, alla fede e al buon costume. Rimase perplesso dell’atteggiamento di alcuni ecclesiastici e sul modo con cui cercavano di imporre le loro opinioni, causando mala fede o ignoranza. Si accorse anche che vi erano prelati che supponevano che le Costituzioni pontificie, soprattutto quelle contro il giansenismo, fossero abbastanza conosciute, «ciò che purtroppo non è».

Toccato al vivo vedendo come si propagavano ampiamente nel suo mondo gli errori «massime degli increduli, e dei novatori in dogmatica e morale», il Lanteri sentì «quanto grande sia l’obbligo di obbedire ad ogni decisione e precetto del Capo universale della Chiesa e professare e difendere la dottrina della Chiesa Romana», e «il danno che può cagionare un solo principio falso in materia di Religione».

I testimoni della sua vita, riconoscono nel Lanteri l’energia con la quale si è dedicato a sostenere la verità insegnata dalla Chiesa. Solo il suo amore per la Chiesa e l’apprezzamento per il suo ruolo insostituibile di maestra, spiega l’energia con la quale include nel suo progetto apostolico il proposito di «combattere fortemente ogni errore dalla Chiesa proscritto, e a difendere anche a costo della propria vita qualunque verità cattolica e decisione e ordinazione della Santa Sede».

 

2. Principi che si erano fatti strada

Il Lanteri oltre ad aver dedicato parte del suo tempo allo studio degli errori correnti in materia di fede e di costumi fu anche molto attento alle correnti di pensiero che venivano a minacciare i fondamenti della fede cristiana. Ecco quali erano i principi che in quel tempo si erano fatti strada.

2.1. Ragionare sulla religione

I principi di Rousseau, di Condillac, di Diderot, dei "filosofi" e dei politici, che avevano causato le rivoluzioni, si fecero strada, tanto da essere creduti da persone ben pensanti.

«S’insinua d’assuefare fin da principio i fan­ciulli a ragionare sulla Religione, piuttosto che a credere all’autorità, come general­mente parlando più si conviene a tutti i fe­deli e tanto più ai fanciulli, eccetto che si vogliano alleviare secondo le massime di Rousseau».

Più che ad appoggiarsi ad una auto­rità esterna, ad una morale di tipo ete­ronomo, si spingeva l’individuo ad a­vere come unico riferimento la propria ragione per una morale autonoma.

In questo clima culturale il Lan­teri manifestò una particolare preoccu­pazione per i giovani: «oltre la disobbedienza alla Chiesa e il di­sprezzo dell’Ecclesiastica Autorità, che trae sempre seco il disprezzo dell’Autorità civile, si fanno lecito ancora di leggere senza scrupolo qualunque altro libro proi­bito, e così resta loro aperta la strada d’infettarsi in ogni genere di vizi ed anche di macchinare e di tentare tutto contro la Religione e il Trono».

2.2. L’idolo dell’opinione

Lanteri notò come gradualmente si stesse mettendo da parte l’autorità re­ligiosa e civile, per sostituirla con l’opinione pubblica.

L’idolo dell’opinione fu il principio della Rivoluzione di Francia. Antonio Genovesi aveva colto que­sto, tanto che asserì: «il Signor dell’opinione è il Sovrano dello Stato, governandosi i popoli più per l’opinione che per la forza delle Ar­mi».

Lo stesso Genovesi, evidenziando l’utilità che derivava al sovrano dal prendere in mano le scuole levandole agli ecclesiastici, affermò: «Le grandi opinioni nascono nella scuola e si diffondono nel popolo. In questa scuo­la si forma il prete, il frate e da questi è sparsa e conservata ogni opinione ... con cinque ovvero sei collegi turchi in capo a tre età non si avrebbe che una città turca».

Si comprende, considerando quest’aspetto, tutta l’azione di Lan­teri a favore degli universitari, della stampa e della diffusione dei libri, contro le strumentalizzazioni dell’opinione pubblica, che spesso al­lontanavano dalla verità e dall’autorità.

Lanteri fu fermamente convinto che «per il credere come per l’operare» ci si deve formare «su principi certi e non sopra opinioni, che non sono mai state la dottrina della Chiesa, la quale appoggia sempre sul solo certo». Lanteri volle che fosse sua guida la verità: «non voglio che questa per guida e non mai l’opinione».

2.3. La libertà di coscienza

Ciò che caratterizza il XIX sec. fu infine la ricerca dell’indipendenza e del riconoscimento della libertà di coscienza. Nell’Enciclopedia si dipinse un uomo che nasce con una libertà senza limiti e che si dà da sé un ordine in una cornice relativa. Non sarebbe quindi Dio ad avere iscritto un ordine nell’uomo (la legge naturale). Di conseguenza l’uomo porta dentro di sé la relatività e non l’eternità.

 

3.  L’attività del Lanteri nel contesto storica degli anni 1798-1814

È in questo periodo storico che certamente più risalta la fedeltà e l’amore del Lanteri per la Chiesa. Il dominio francese, infatti, attaccò apertamente la Chiesa di Roma e chiunque difendesse il legame ecclesiastico con Roma. Il concordato del 1802 tra la Santa Sede e Napoleone migliorò lievemente la situazione della Chiesa in Europa, anche se la sua libertà era apparente e sempre sotto la minaccia dello scisma nazionalista. Nel 1806 si arriverà pure a istituire per il 15 agosto una festa in onore di un san Napoleone mai esistito e si promulgano catechismi imperiali.

In questo clima tempestoso attraverso le “Amicizie” il Lanteri provvide a diffondere opuscoli e libri che difendevano l’autorità del Santo Padre e il suo primato e altri che diffondevano la sana dottrina morale di S. Alfonso confutando vari errori diffusi dagli illuministi del tempo. Instancabile era la sua attività di lettura e di informazione su quanto si stampava a livello europeo, come sentinella della verità, pronto a segnalare e refutare l’errore, cosa nella quale era un maestro impareggiabile:

«Ed in ciò non si poteva desiderare più abile maestro; poiché esso aveva logorata col leggere la vista, e la sanità, e leggeva con sì profondo criterio, che a prima giunta, ed a pochi tratti conosceva non tanto lo scritto, quanto lo spirito dello scrittore; nemmeno leggeva solo di passaggio, ma con serbar impresso talmente il giudizio di ciascuna dottrina, che di moltissimi autori teologici, ascetici, polemici, o morali che fossero, ben sapeva accennare in qual argomento, e per qual capo il tale o tal’altro avesse detto meglio, e quale in una materia, quale in un’altra dovesse preferirsi».

Il Lanteri stesso scrisse diversi opuscoli polemici che furono diffusi dalle “Amicizie”. Oltre tutto provvide a diffondere quanto più poteva vari documenti magisteriali e altri scritti teologici che confermavano la santa dottrina del primato del Santo Padre nella Chiesa universale:

«Dirò circa la fede, che premeva sempre nell’inculcare l’unione colla Chiesa Romana, al quale intendimento divulgò quanto poté la raccolta delle migliori pastorali de’ Vescovi di Francia contro la scismatica Costituzione civile del Clero, e quelle, in cui si spiegavano i caratteri dell’ubbidienza di cuore e universale dovuta alla Santa Romana Sede; gli scritti dell’Abate Barruel contro lo scisma, i Brevi del Sommo Pontefice Pio VI e la Bolla Autorem Fidei, di cui ne procurò e distribuì molte copie. Quando poi in quell’epoca infelice s’insegnavano le quattro proposizioni contenute nella supposta difesa della dichiarazione del Clero gallicano, vi si oppose con un’edizione dell’opera del Ballerini De vi et ratione Primatus Rom. Pontificis, di cui me ne regalò una copia: divulgò la Conclusione teologica d’Onorato Tournely portante che l’unione colla Sede di Pietro, vale a dire col Romano Pontefice sia «de necessitate salutis», e che il Papa sia infallibile nelle sue decisioni dottrinali».

Il Lanteri oltre a difendere con la penna, con la carta e con la parola il Santo Padre e il suo magistero, si diede anche da fare per sovvenire direttamente alle necessità del Papai nella sua relegazione savonese. Napoleone, come è noto, aveva fatto sì che il Papa venisse a trovarsi nel più completo isolamento morale: né persone né cose potevano giungere a lui se non attraverso il più rigoroso controllo della polizia. Ora fu proprio il Lanteri che si preoccupò di formare a Torino una specie di comitato segretissimo per venire incontro al Sommo Pontefice, sia con somme pecuniarie, sia col fargli pervenire, nella maniera più segreta, documenti e notizie che potessero essergli utili in una situazione tanto dolorosa e angustiata.

Venendo a sapere  che Pio VII desiderava avere gli atti del Concilio Ecumenico di Lione, allo scopo di dimostrare a Napoleone le infondatezze delle sue pretese, il Lanteri  trascrisse subito quegli atti e li affidò al coraggioso Cavaliere d’Agliano; il quale essendo riuscito ad ottenere finalmente una udienza del Papa, mentre si prostrava al bacio del sacro piede, lasciò scivolare il fascicolo fra le pieghe della bianca veste del Santo Padre, il quale poté effettivamente servirsene.

Durante questo periodo, in seguito alla chiusura delle “fabbriche” ordinata dall’autorità occupante, il Lanteri decide di adibire a questo uso della sua proprietà La Grangia per dare gli esercizi spirituale e formare – anche tramite corrispondenza epistolare - le coscienze.

 

4. Sentire con la Chiesa

Per il Lanteri e per gli Oblati il “sentire con la Chiesa” significa «professare un’intera, sincera, ed inviolabile obbedienza all’autorità» della Santa Sede, ed un «attaccamento intero» al suo insegnamento. Una fedeltà che dev’essere capace di quello spirito di tolleranza che essa ha e che forma «uno dei suoi pregi»: «la facoltà di tollerare dei figli rivoltosi nell’atto stesso che solamente disapprova qualche dottrina: facoltà preziosa al materno suo cuore, finché Ella milita tra i Viatori e necessaria a chi “non è venuto per perdere anime, ma a salvare” (cfr. Gv 12,47)».

Questo Lanteri lo dimostrò in occasione dell’approvazione a Roma degli Oblati. Nonostante la sua avversione al gallicanesimo, non fu d’accordo con mons. Marchetti ad andare all’eccesso:

«Il sentire con Roma in generale vuol dire tenere per meglio, per certo, per probabile, per tollerabile quello che tale si giudichi dalla Santa Sede. Ora gli Oblati s’impegnano a sentire con Roma; dunque s’impegnano a tenere per tollerabile ciò che dalla Santa Sede si tollera».

La Chiesa avvisa per tempo ciò che è dottrina definita, ciò che è condanna o che disapprova. Lanteri insiste a sentire «in omnibus con Essa». Questo vuol dire che: «disapprovando a suo esempio quelli che sono restii, li tollereremo finché la Chiesa li tollera, né giudica ancora di cacciarli di casa. [...] dunque per sentire in omnibus con la Chiesa Cattolica bisogna riprovare le loro proposizioni come le riprova la Chiesa, e tollerare gli individui che le professano come e finché li tollera la Chiesa».

In altre parole egli fece sua la frase di Sant’Agostino: «In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas».

 

5. Il giuramento di fedeltà degli Oblati

Nelle attuali Costituzioni gli Oblati all’art. 8 si legge: «Sull’esempio del loro Padre Fondatore gli Oblati professano, come loro caratteristica, un’intera, sincera, ed inviolabile obbedienza all’autorità della S. Sede, ed un attaccamento intiero al suo Magistero.

Espressione di fedeltà al Magistero della Chiesa e di obbedienza al Vicario di Cristo è la professione di fede e il giuramento di vera obbedienza al Romano Pontefice che si rinnova, preferibilmente in comunità, ogni anno nella festa di San Pietro, protettore della Congregazione.

Essendo la Chiesa particolare il luogo in cui gli Oblati vivono ed esprimono il loro impegno apostolico, essi si inseriscono nella pastorale locale, che ha nel Vescovo il primo responsabile e seguono le sue direttive e quelle delle Conferenze Episcopali».

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