Segreteria del Santuario

Segreteria del Santuario

ORE 9,00 CANTO DELLE LODI

ORE 9,30 CELEBRAZIONE EUCARISTICA - CON ACCENSIONE DELLA LAMPADA

ORE 10,00 ACCOGLIENZA DEI PELLEGRINI

ORE 10,30 VIDEO SU FATIMA

ORE 12,00 SANTA MESSA

ORE 16,00 ADORAZIONE EUCARISTICA

ORE 17,00 ROSARIO MEDITATO

ORE 18,00 CELEBRAZIONE EUCARISTICA CON LE ASSOCIAZIONI CARITATIVE

ORE 19,00 TESTIMONIANZA DI CARITA'

ORE 20,30 SALUTO ALLA VERGINE

 

ORE 9,00 CANTO DELLE LODI

ORE 9,30 CELEBRAZIONE EUCARISTICA

ORE 10,00 VISITA DEI RAGAZZI DELLE SCUOLE

ORE 10,30 VIDEO SU FATIMA

INCONTRO CON ANNALISA MINETTI TESTIMONIANZA

CONCERTO CON IL CORO DEI BAMBINI SCUOLA MARIA IMMACOLATA

PREGHIERA CON I RAGAZZI

ORE 11,30 RECITA DEL SANTO ROSARIO

ORE 16,00 ADORAZIONE EUCARISTICA

ORE 17,00 ROSARIO CON LE FAMIGLIE

ORE 18,00 CELEBRAZIONE EUCARISTICA E RINNOVO PROMESSE MATRIMONIALI

ORE 19,00 OMAGGIO MUSICALE ALLA VERGINE DI FATIMA

ORE 20,30 SALUTO ALLA MADONNA PELLEGRINA

 

13 Maggio 2019

MADONNA PELLEGRINA

LUNEDI 13 MAGGIO - 40° ANNIVERSARIO DI CONSACRAZIONE DEL SANTUARIO
ore 9,00   - Canto delle Lodi
ore 10,30 - Celebrazione Eucaristica con accensione della lampada
ore 11,00 - Recita del Santo Rosario
ore 12,00 - Celebrazione Eucaristica
ore 17,00 - Recita del Santo Rosario
ore 18,00 - Celebrazione Eucaristica
ore 21,00 - Processione con i Flambeaux dal Santuario al Borgo di san Vittorino
ore 22,00 - Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta da S.E. mons. Mauro Parmeggiani
Affidamento alla Vergine di Fatima

DOMENICA 12 MAGGIO - ARRIVO

20 Aprile 2019

SABATO SANTO

ORE 8,00 - UFFICIO DELLE LETTURE

ORE 17,00 - L'ORA DELLA MADRE

ORE 22,00 - SOLENNE VEGLIA PASQUALE

13 Aprile 2019

Domenica delle Palme

La domenica delle Palme ci introduce nella Settimana Santa: tempo della liturgia cristiana che celebra il Mistero massimo della nostra redenzione. La celebrazione cristiana non consiste in un ricordo commemorativo, dove si attiva la sola memoria intellettiva; ma nella ripresentazione sacramentale degli eventi che si realizzarono, una volta per sempre, duemila anni fa; che si svolsero nel tempo, come ogni altro avvenimento umano, ma sono radicati nell’eternità di Dio, l’Eterno Presente, che ha il potere di farli rivivere in ogni generazione di credenti.

Vogliamo riflettere in preghiera sul mistero più grande della nostra fede:

L’Unità e la Trinità di Dio. Dio è Indivisa Unità sussistente nella Trinità delle Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Sono Tre eppure sono Uno: Tre Persone, una sola divinità, una sola natura o sostanza divina. Una Unità che non patisce solitudine, una Molteplicità che non patisce divisione. È un mistero grande: il più grande della nostra fede, mistero fondamentale da cui scaturiscono tutti i misteri principali della nostra fede, primo tra essi quello dell’Incarnazione, passione, morte e risurrezione del Figlio di Dio. Padre, Figlio e Spirito Santo non sono tre dèi, ma l’Unico Dio “fuori di Lui non ci sono altri dèi” (Is 45,5.21). È una verità che non possiamo comprendere, ci supera, ci trascende e nello stesso tempo ci avvolge! Tutte le prerogative proprie di Dio sono possedute in pienezza da ciascuna Persona Divina senza diminuzione o variazioni! Ciascuna Persona è pienamente Dio, ma non sono Tre Dèi, bensì l’Unico Eterno Dio! L’unica distinzione che sussiste nella SSma Trinità consiste nelle relazioni interpersonali: il Padre non è il Figlio, ma il Padre del Figlio; il Figlio non è il Padre, ma il Figlio del Padre; lo Spirito Santo non è né il Padre né il Figlio, ma è il loro reciproco amore che li unisce in Unità Assoluta nella Comunione Eterna delle Persone.

La SSma  Trinità è un mistero di pienezza: “Pienezza di essere, pienezza d’intelligenza, pienezza d’amore” (P. Lanteri)! Pienezza che si espande e si dona nella creazione che riflette, come in uno specchio, tutta la sua bellezza e perfezione. Per cui, ecco che tutto il cosmo è meravigliosamente bello e ordinato. Quando guardiamo la bellezza di un semplice fiore, il gioco dei colori di un arcobaleno o il gioco di luci di un tramonto, quando guardiamo la luna, il sole, le stelle… o quando entriamo nella realtà del microcosmo: delle cellule e degli atomi e dell’ordine perfetto che le governa… non possiamo non rimanere stupiti ed estasiati per tanta perfezione e tanta bellezza. Ma nel creato c’è qualcosa di particolarmente bello e stupefacente, qualcosa che non è qualcosa, ma qualcuno: l’uomo, la donna: queste piccole e fragili creature che portano nel proprio intimo una particolare impronta del loro Creatore e Signore: “Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen 1,27). È appunto perché portiamo nell’intimo quest’impronta divina che non è marginale, superfluo o indifferente per noi sue creature, conoscere o non conoscere il vero Dio, l’unico vero Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo. Perché solo quando conosciamo il vero Dio possiamo dare una risposta alla domanda che ognuno di noi si porta nel cuore: “Chi sono io? Cosa sono chiamato ad essere?”. Mostrandosi e facendosi conoscere nella sua verità di Padre, Figlio e Spirito Santo, Dio permette all’uomo di conoscere ed entrare dentro le fibre più nascoste della propria entità umana che partecipa intimamente dell’essere del suo Creatore e Signore, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

 L’impronta del Padre                                                        

Ogni persona umana è creata a immagine del Padre, il Padre è Padre Eterno del Figlio, genera dall’eternità e nell’eternità il Figlio e di Lui si compiace eternamente. Ogni uomo è chiamato ad essere padre, ogni donna è chiamata ad essere madre. Padri e madri, cioè coloro che generano, che comunicano la vita, che partecipano alla paternità e maternità di Dio. Ciò che realizza l’aspirazione primaria di ogni essere umano non è generare dei figli, ma generare il “Figlio, lo stesso Figlio del Padre. Il Padre ci ha creato per darci la gioia di generare in Lui il suo stesso Figlio. La gioia di generare Lui, “il più bello tra i figli degli uomini” (Sal 45,3), “l’uomo Gesù Cristo” (1Tm 2,5) in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). In che modo ad ogni uomo, ad ogni donna è possibile questa generazione divina, in che modo è possibile generare il Figlio? È molto semplice! Basta fare la volontà del Padre: “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella  e madre(Mt 12,50). Sì! “Fratello, sorella e madre, “madre”, cioè colei che genera. Facendo la volontà del Padre, entrando nel mistero della sua volontà con fede, abbracciando la sua volontà con amore, Lui, il Padre, ci rende partecipi della generazione eterna del Figlio. In noi e attraverso noi genera il suo Verbo nel tempo e in noi e attraverso di noi si compiace di Lui (cf Mt 17,5). Ogni uomo, ogni donna ha ricevuto dal Padre la vocazione a generare il suo Figlio, ogni essere umano è chiamata ad una vita feconda, non ad una vita sterile e ogni vita è sterile se in essa non nasce Gesù, non fiorisce Gesù, non cresce Gesù. Questa è la sterilità che frustra la vita di tanti, di moltissimi. Una vita piena di tutto: di beni, di agi, di figli, ma priva di Lui, priva del “Figlio”, una vita priva di Gesù è una vita fondamentalmente sterile e sarebbe meglio non essere mai nati (cf Mc 14,21), ma non vivere senza generare Gesù!

L’impronta del Figlio

Portiamo dunque in noi l’impronta della SSma Trinità: l’impronta del Padre che ci chiama a generare il suo Figlio, l’impronta del Figlio che gode di essere generato dal Padre e di stare con Lui. Tutta la Persona del Figlio è relazione al Padre, nulla fa, nulla dice se non quello che il Padre gli ha comandato (cf Gv 12,49-50) e desidera che tutti sappiano questo: che Lui ama il Padre (cf Gv 14,31) e che la sua vita, il suo cibo, il suo respiro “è fare la volontà del Padre (Gv 4,34) perché Lui e il Padre sono una cosa sola” (Gv 10,30) e chi “vede Lui ha visto il Padre”  (Gv 14,9). Quest’impronta del Figlio in noi è la sorgente della nostra inquietudine e insoddisfazione che ci perseguita in ogni cosa che inseguiamo o che abbracciamo. Il nostro cuore non può avere pace né riposo se non nel seno del Padre. È l’impronta del Figlio in noi che non ci permette di avere pace fuori dell’abbraccio del Padre. Ogni fibra del nostro essere è stata creata dal Padre perché faccia la sua volontà che è amore! Quale frustrazione profonda vive la persona umana quando non cerca la volontà del Padre, quando non fa’ la volontà del Padre, quando fugge la volontà del Padre perché abbagliata e ingannata da altre vie facili e comode (cf Mt 7,13), che promettono felicità e soddisfazioni che però svaniscono abbracciandole.

L’impronta dello Spirito Santo

Abbiamo parlato dell’impronta del Padre che ci sollecita a partecipare alla generazione del Figlio e della impronta del Figlio che ci chiama ad abbracciare la volontà del Padre, ma cosa dire dell’impronta dello Spirito Santo in noi? L’impronta dello Spirito Santo in noi consiste proprio in questa duplice impronta del Padre e del Figlio che ferisce il nostro cuore. Lo Spirito Santo ha una duplice dimensione intrinseca: è l’Amore del Padre verso il Figlio, è l’Amore del Figlio verso il Padre. È l’impronta dello Spirito Santo che mi attira verso il Figlio in quanto mi partecipa l’Amore del Padre verso il suo Figlio (cf Gv 6,44). È l’impronta dello Spirito Santo che mi orienta al Padre in quanto Egli è l’Amore del Figlio verso il Padre ed è proprio nello Spirito Santo che i Due, il Padre e il Figlio, non sono più “Due”, ma “Una cosa sola” nella Trinità Eterna. Propriamente dunque l’impronta dello Spirito è l’unità di queste due impronte che abbiamo ricevuto e che ci spingono ad essere “Uno” con tutti, innanzi tutto ci spinge ad essere “Uno” nella Trinità nell’unione d’amore con il Figlio che ci introduce nel Padre e ci fa essere una cosa sola con Lui (cf Gv 14,23; 17,21) e con i suoi fratelli (cf Rm 8,29). Per questo lo Spirito Santo ci spinge ad essere “Uno” con il nostro coniuge e la nostra famiglia  con cui condividiamo l’esistenza: non c’è pace per il nostro cuore finché non siamo in comunione con tutti.

Abbiamo parlato dell’impronta dello Spirito Santo come l’unità dell’impronta del Padre e del Figlio che ferisce il nostro cuore, propriamente il nostro cuore viene ferito per due motivi: Perché in esso venga riversato l’amore: l’amore del Padre e del Figlio che è lo stesso Spirito Santo che ci inserisce nel mistero della SSma Trinità facendoci essere “Uno” in Essa: Rm 5 [5]La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

Gv 17 [11]Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi. […] [20]Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; [21]perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.[22]E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. [23]Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me. [24]Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo. [25]Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato. [26]E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro".

Perché da esso possa sgorgare l’amore: l’amore verso il Figlio che a Lui ci unisce e quindi nel Figlio, con il Figlio e per il Figlio, l’amore verso il Padre e verso tutti.
Gv 19 [33]Venuti i soldati da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, [34]
Ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.

Gv 7 [37]Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: "Chi ha sete venga a me e beva [38]chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno". [39] Questo Egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificatoCome lo Spirito Santo realizza la reciprocità dell’amore nel Padre e nel Figlio, così realizza anche in noi la capacità di ridare indietro l’amore ricevuto, l’amore, infatti, senza ritorno non è perfetto amore. Da qui la necessità che il nostro cuore venga ferito e quanto più ampia è la sua ferita quanto più ampia è la sua capacità di ricevere e dare amore. La perfezione dell’amore sta poi nella reciprocità: ricevuto e dato senza misura. Poiché “Dio ci ha amati per primo” (1Gv 4,19) nella gratuità più assoluta, la perfezione del nostro ritorno d’amore potrà avvenire solo quando anche noi saremo capaci di amare così come Lui, “per primi” nella gratuità più assoluta e totale. Non potendo amare così Dio in Se Stesso, perché siamo stati amati “per primi”, troppo e di più, possiamo però ricambiare la sua misura (smisurata) d’amore attraverso il nostro coniuge in cui Lui stesso ci ha detto di essere vivo e presente (cf Mt 25,40). Lo Spirito Santo ci comunica proprio la capacità di amare “alla divina” i nostri cari e cioè “per primi”, senza interessi personali, nella più completa gratuità d’amore fino ad essere capaci come Gesù a dare la nostra vita per chi vive con noi nell’amore più grande possibile (cf Gv 15,13).

Per iniziare la preghiera è importante sapere chi siamo, ma è molto più importante avere consapevolezza di Colui di fronte al quale stiamo e con il quale vogliamo intrattenerci.

Bisogna insistere sul fatto della presenza di Dio. Essa è indispensabile, visto che il rapporto personale si stabilisce tra due che si incontrano. L'orazione inizia e si sviluppa solo se ci si mette e si sta alla presenza di Dio presente. La consapevolezza di questa presenza è, per la pre­ghiera, come l'aria senza la quale non si vive. È evi­dente, infatti, che se noi iniziamo la preghiera senza questa attenzione a Dio presente, noi non stiamo ascoltando o parlando con nessuno; con la conse­guenza che la preghiera resta un fatto estraneo alla vita, e tutto diventa formalismo o pura elucubrazione. Finché non si sperimenta il miracolo di essere davanti a Dio, non si è ancora incominciato a pregare, anche se abbiamo pronunciato una infinità di parole.

È meglio passare tutto il tempo a sforzarsi di cre­dere che Dio ci è presente e ci guarda con amore, che moltiplicare parole vuote, dette a nessuno. E di assoluta importanza, dunque, avere consape­volezza che il Signore ci è realmente vicino, presente al nostro spirito, solo così possiamo realmente vivere la comunione con Lui.

Si tratta di una presenza certamente misteriosa, che può essere in qualche modo colta con una certa intuizione, ma che noi possiamo percepire solo at­traverso un atto di fede la quale, si sa, è oscura. Par­lando della fede un giorno Paolo VI ebbe a dire che noi siamo, in un certo senso, nella condizione di una persona che si trova in una stanza completamente buia o di un cieco che non vede, ma che sa di avere davanti a sé una persona che osserva, ascolta, ama. Un altro è qui, e questi è Dio. Stare alla presenza di Dio significa essere attenti a Lui, e questo è già sta­bilire un contatto personale, significa ascoltarlo, si­gnifica iniziare il dialogo della preghiera; qualunque sia il sentimento che in quel momento nutriamo nel cuore o anche esprimiamo a parole.

Anzi, si può dire in tutta verità che pregare, so­stanzialmente, è starsene alla presenza di Dio, sa­pendosi da Lui guardati con amore.

Normalmente la prima reazione che dovremmo sentire nell'essere alla sua presenza, dovrebbe essere la gioia di sapercelo accanto, il desiderio di sentirlo parlare e di ascoltarne la voce. Capire chi è Lui e l'a­more che nutre per noi. E questa la prima scoperta che introduce già nel cuore della preghiera; solo in un secondo momento, sorgerà il desiderio di dover rispondere al suo amore e che cosa fare per, poi, tra­durlo in vita.

Abbiamo già sottolineato che non si tratta di im­maginarci che ci sia, ma convincerci e avere certezza che c'è davvero, e che vuole comunicare con noi. Questo è un punto su cui bisogna particolarmente insistere, perché troppo spesso pensiamo che  il Si­gnore stia lontano o distratto, quasi che il nostro impegno fondamentale sia quello di attirare la sua attenzione su di noi.
Invece è Lui che ci cerca e ci chiama, la nostra è solo una risposta.
Siccome, però, a noi capita di dimenticarlo e di non riconoscerlo, perché spesso col cuore e con la mente siamo lontani da Lui, pensiamo che anche Lui lo sia da noi.
Eb­bene, devo ripetermelo, Lui non mi dimentica, Lui mi riconosce sempre, Lui sta sempre lì a guardarmi, a invitarmi, a farmi compagnia, a istruirmi. Non posso dubitare che Egli mi ama, che in questo mo­mento mi sta amando. Che «mi guarda con amore e umiltà» (C 26,1). Posso forse dubitare del mio amore per Lui, ma non del suo amore per me. Ciò che spesso rende difficile questo atto di fede è anche il pensiero che Gesù ora si trova in cielo, in Paradiso, quindi lontano da noi. Dobbiamo correg­gere tale concezione del cielo e del Paradiso. Pro­prio perché glorioso alla destra del Padre, ora Gesù può essere presente dovunque c'è un cuore che lo accoglie.

Nella sua vita terrena Egli era condizionato dal tempo e dallo spazio. Anche Lui, come tutti noi, non poteva stare in due posti diversi allo stesso tempo, se era a Betlemme non era a Nazareth, se era a Giudea non era in Samaria. Nella sua umanità Gesù non po­teva vivere che in un solo luogo, come in un unico momento non poteva esprimere che un solo atto di amore. Ma dopo la sua risurrezione gloriosa Gesù vive un'esistenza spirituale e, quindi, si può far presente in ogni anima, e unirsi a ciascuno di noi. La presenza spirituale non ha relazione con lo spazio e col tempo. Anche io, che pur sono prigioniero del tempo e dello spazio, sono immensamente più vicino e presente a quelli cui penso e amo, che non a quanti urto e mi spingono nella metropolitana[1].

la presenza di Gesù non è soltanto una pre­senza fatta con la memoria come quando si ricorda qualcosa;

né soltanto una presenza spirituale come la presenza, in noi, del nostro affetto e del nostro amore per tutti coloro che amiamo. La sua non è solo pre­senza intenzionale e affettiva: è una presenza reale. Non è che Gesù è presente, di fronte a me e in me, perché lo penso e lo amo; io sono sempre presente a Lui, anche se non ci penso, anche se non lo amo. Non più legato a luoghi e spazi temporali, Gesù è sempre presente per stabilire un rapporto di reciproco amore con ognuno che è disposto ad accoglierlo.

Egli non ha più nemmeno bisogno di ripetere, come allora, diversi atti di amore secondo le persone che progres­sivamente incontrava; vivendo, in perennità, la pie­nezza dell'amore, totalmente trasfigurato in amore, Egli può sempre venire in ciascuno che ama e convi­vere con ciascuno che gli risponde. E chiaro, però, che il rapporto di amicizia diventa reale e attuale nel momento in cui si stabilisce la comunicazione; se, da parte mia, questa comunica­zione vitale non c'è lo impedisco al Signore di vi­vere con me quella comunione vicendevole che noi chiamiamo amicizia e che la preghiera vuole attuare. E questo per il semplice motivo che per avere un rapporto amichevole bisogna essere in due. Ma per quanto riguarda la presenza di Gesù che ha nei miei riguardi un cuore e un atteggiamento di amico e che, in questo momento, mi chiede di contraccambiarlo, non dovrei avere dubbi.

 È vero, rimane difficile "capire" l'onnipresenza di Gesù, ma ci dobbiamo credere, fino ad averne una assoluta certezza. Gesù ora vive nell'eternità di Dio, e l'eternità non è successione infinita di istanti. L'e­ternità è giustizia perfetta, è verità perfetta, è amore perfetto, è gioia perfetta. Ora, in tutto ciò che è per­fetto non ci può essere un più e un meno, un prima e un dopo, ma tutto è pienamente attuale; e questo non come stasi e immobilismo, ma come pura, as­soluta attività che, proprio perché tale, non ha da aggiungere niente alla sua pienezza.

La distinzione tra l'esistenza gloriosa del Signore e la forma della nostra esistenza terrena non è solo cronologica: nel senso che la nostra è temporale e l'altra senza fine. Quella gloriosa del cielo è una forma di esistenza in cui la pienezza sempre è. Non c'è passato e futuro, ma tutto l'esistente è presente, sempre, da sempre, per sempre. Una pallida idea di ciò la possiamo cogliere nella contemplazione perfetta che ci pone come fuori dal tempo. Dove e nella misura in cui avviene l'incontro con Dio, c'è la vita eterna. Stando nella condizione di eternità ora Gesù può venire a noi e incontrarci ogni momento, se noi glielo permettiamo. Una venuta, pertanto, che dipende da noi rendere possibile aprendo le porte del nostro cuore; una apertura che a sua volta è data dalla nostra fede, semplice, pura, viva.

Credo veramente che Gesù è qui con me, che mi guarda e mi ama come ha guardato e amato coloro che ha incontrato sulle strade della Palestina? Credo davvero che Gesù vuole stare con me e mi chiede di aprirgli la porta del cuore?

Ripetiamolo: è fondamentale e assolutamente pri­mario prendere consapevolezza e avere assoluta cer­tezza del fatto che Gesù è presente a me e io a Lui, e, insieme a Lui, è presente il Padre e lo Spirito. Nel tabernacolo, poi, questo è reso per me anche visibile e constatabile nel segno del pane consacrato.

Nel discorso che stiamo facendo abbiamo cercato di prendere atto della presenza di Gesù, Verbo in­carnato, ma è evidente che Gesù è indissolubilmente unito al Padre nello Spirito. E questo ci porta al con­tenuto centrale della nostra vita di grazia, che è il su­blime mistero dell'Inabitazione, cioè della presenza della Trinità nell'anima dei giusti, e, naturalmente, con la Trinità, di tutto il Paradiso! Con la giustifica­zione Dio viene nel cuore dell'uomo e vi pone la sua dimora, ne prende amoroso possesso per intrecciare un rapporto vitale fatto di conoscenza e di amore. Sta qui l'inizio e il fondamento della vita cristiana, dell'ascesi e della santità. Non possiamo non chiederci se e fino a che punto viviamo nella consapevolezza di questo ineffabile mi­stero della presenza di Dio in noi. Forse dobbiamo riconoscere che nel nostro intimo c'è più spazio per una infinità di altre presenze che occupano e pre­occupano la mente e il cuore, spesso inutilmente, a volte in modo dannoso.

Quando parliamo di Trinità presente in noi vo­gliamo riferirci al fatto che Dio vive in noi la sua vita, una vita di comunione piena tra il Padre e il Figlio in un atto perfetto di infinito ed eterno Amore. Ma perché la Trinità viene a vivere la sua vita in noi? Per rendercene partecipi. Anzi, viene a noi nel fatto stesso che ci rende partecipi della sua vita; si tratta di una presenza dinamica, non statica. Il Padre continua a generare cioè a dire: «Figlio»; il Figlio continua a riceversi e a donarsi dicendo: «Padre». Questo loro eterno "dialogo" si realizza in un atto sostanziale di Amore che è lo Spirito Santo. È dunque l'Amore, lo Spirito Santo, che li unisce, che li fa Uno, che è la loro Comunione.

Ebbene, la presenza dinamica della Trinità in noi vuol dire che lo Spirito Santo ci inserisce in questo dialogo nel quale noi, uniti e insieme al Figlio, siamo messi in grado di dire con Lui: «Padre». E ciò che chiaramente insegna l'Apostolo quando afferma che lo Spirito del Figlio grida in noi: «Abbà, Padre». Pa­rola che dall'eternità esprime tutti i sentimenti del Figlio verso il Padre, a cui il Verbo incarnato ha dato una espressione umana, e che noi ora siamo resi ca­paci di ripetere insieme a Lui, per essere la continua­zione della sua voce nella storia. Questo sottolinea ancora una volta che la pre­ghiera è un dono che ci ritroviamo dentro. Nel fondo della nostra anima di battezzati è vivo il dialogo del Padre con il Figlio nello Spirito Santo. Questo dia­logo di amore è la preghiera primordiale, perfetta, assoluta. Essa ci inabita. La preghiera nostra con­siste nello scoprire, ascoltare, lasciarci coinvolgere in questa "preghiera" dei Tre nel fondo di noi stessi. Ecco perché è lo Spirito, Comunione del Padre e del Figlio, che ci rende capaci di dire: «Padre!». Come il Verbo dice: «Padre!» in un atto di Amore infinito, così anche noi, pos­siamo dire: «Padre!» in un atto di amore temporale. Tutto l'insegnamento teresiano sulla preghiera tende a portare l'orante all'incontro con Dio nell'in­timo del suo cuore. Il simbolismo a cui lei spesso ricorre, del castello, del palazzo, del diamante pu­rissimo di cristallo, al cui centro come in un trono si trova sempre il re della gloria, ha un unico significato: l'anima dimora di Dio. È nell'intimo di sé il luogo privilegiato in cui Dio si incontra più facilmente e «con maggior profitto che non nelle altre creature, e qui afferma di averlo trovato anche sant'Agostino dopo averlo cercato altrove» (4M 3,3).

Vivere il mistero dell'inabitazione è vivere riti­rati nell'eremo interiore dell'amore di Dio. Questo eremo può essere il deserto, la cella, la clausura, ma può essere anche la vita ordinaria, nella misura in cui il senso della presenza di Dio si riesce a colti­varlo. Questo richiamo alla semplice ferialità diventa per noi un incoraggiamento e uno stimolo a vivere il quotidiano con generosità e fiducia, sapendo che nelle pieghe della vita ordinaria, la più semplice e ripetitiva, si nasconde il volto e il cuore del Dio tri­nitario. Se guardiamo all'esperienza di Elisabetta della Trinità vediamo come tutta la sua vita vibri della pre­senza della Trinità dalla quale ella si sente inabitata e nella quale si trova immersa, sepolta come in un oceano di amore. Nella sua celebre "Elevazione" è il rapporto con ogni singola Persona che viene vissuto con particolare intensità e spessore teologico. Questo incontro con Dio nell'intimo non è un ripiegamento su se stessi, non è intimismo. L'espe­rienza di Teresa e di tutti i veri contemplativi ci dice che vivere nel profondo di sé questa comunione intima con Dio, non isola dagli altri, non estranea dalle vicende di questo mondo. Perché chi vive con Dio e vive per Lui vive la libertà pura di un'anima che spazia negli orizzonti divini. Il luogo dell'anima orante è l'immensità di Dio. Vivere in Dio è vivere nell'immensità, come vivere in Cristo è vivere nell'a­more.

Se si prega davvero, anche nel luogo più lontano e de­serto, si porta nel cuore il peso del mondo. Ciò è inevita­bile perché il cuore di Dio è fatto così; ed è solo dal suo cuore che ogni preghiera scaturisce. Del resto - è facile costatarlo - lo zelo apostolico che nasce dalla nostra co­noscenza degli uomini ha le dimensioni del nostro cuore: non di più. Invece lo zelo che nasce dalla fusione della no­stra volontà con quella del Signore ha altri confini, ha dimensioni ben più vaste: quelle del cuore di Dio[2]. Entrare in rapporto con Dio- comunione significa capacità di costruire la comunione nella comunità e nella Chiesa, e avere il desiderio struggente che tutti gli uomini, anche i più lontani, arrivino a farne parte. Un desiderio attivo, fatto di fede, di benevolenza, di perdono, di spirito di sacri­ficio, di grande speranza. Senza dimenticare mai che la sua realizzazione, prima che il nostro quotidiano sforzo di abnegazione e di tenace perseveranza, ri­chiede la nostra fede per scorgere negli altri il volto di Gesù e la presenza stessa della Trinità.

Da quanto detto risulta che imparare a pregare, in fondo, non vuol dire vivere qualche cosa di nuovo, vuol dire vivere con una consapevolezza nuova quella "grazia" ricevuta già nel Battesimo, che è la nostra vita di figli di Dio. Potremmo dire che vivere il mistero dell'inabitazione è vivere il proprio Batte­simo e sperimentare la verità e la bellezza delle pa­role di Gesù: «verremo e prenderemo dimora in lui» (Gv 14,23). È accogliere con gioia la richiesta del Signore: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).
Il cristiano che vive la vita divina ricevuta nel Battesimo, è uno che, ogni giorno, vive in Dio, vive per Dio, vive di Dio; un vivere per Dio, in Dio, di Dio che, poi, vuol dire vivere in Cristo, abbando­nandosi alla potenza dello Spirito, perché operi in noi quello che ha operato un giorno nel grembo della Vergine, cioè l'incarnazione del Verbo! Per l'azione dello Spirito Santo deve prolungarsi in noi questo mistero, in modo tale che viva in noi Cristo, viva solo Cristo, e vivendo in noi Cristo e solo Cristo, viviamo di Dio, in Dio e per Dio, pro­prio come ha vissuto il Verbo incarnato nella na­tura umana assunta.Tutto questo, naturalmente, sarà possibile in forza di una vicendevole presenza vissuta con piena consapevolezza. In questo senso pregare vuol dire "vedere" Dio, in sé e intorno a sé, e lasciarsi coinvol­gere nel suo mistero. 

Per entrare in questo mistero, come detto, si im­pone prima di tutto la fede. Senza una fede viva, tutto quello che abbiamo detto diviene soltanto parole, che possono essere belle, ma che "lasciano il tempo che trovano". E d'altra parte, è necessario sottoline­arlo, non è la fede che realizza questo mistero, perché Dio è presente e ci ama anche se noi non ci pen­siamo; però, e questo è altrettanto importante, è la fede che ci rende partecipi di questo mistero. I doni di Dio divengono veri e operanti per noi solo nel momento in cui noi, illuminati e mossi dallo Spirito Santo, ne prendiamo coscienza e li accogliamo con fede. Perciò quanto più pura e grande sarà la fede nella presenza e nell'amore del Cristo, tanto più grande sarà l'esperienza di questa realtà nella quale Dio ci introduce. E questa è la preghiera nella sua sostanza e nella sua più profonda verità. Abbiamo detto che questa fede nella presenza di Dio, di per sé, non è legata ad alcun posto par­ticolare; la si può esercitare in ogni momento e in ogni luogo, ma sappiamo con certezza che ci sono due "luoghi" particolarmente indicati dove essa può meglio essere stimolata: la presenza nel sacramento dell'altare dove Gesù ci attende sempre, e, come ab­biamo appena detto, la presenza in noi per il mistero dell'inabitazione in forza del quale le Tre Persone di­vine si offrono a noi per essere conosciute e amate. A partire da ciò può essere sommamente utile pensare e vedere Dio presente anche nel cuore del fratello. Vedere Dio nel fratello, infatti, è una delle caratte­ristiche proprie dell'essere cristiano. «L'avete fatto a me!».

Se è vero che pregare è farsi da Lui guardare e guardarlo, allora con questo atto di fede nella pre­senza dell'amico che ci ama e ci vuol parlare siamo già entrati pienamente nella preghiera, come ricor­davamo.
Potremmo dire che stare consapevolmente davanti a Dio che ci guarda e che ci ama è inizio, progresso e perfezione della preghiera.
«La preghiera è la felice audacia di rimanere sotto lo sguardo di Dio che penetra fino in fondo... Quando l'uomo si sente guardato da Dio, in quel momento sta pregando. Non dice la sua preghiera, ma accetta e assapora il dono di Dio che è comu­nione con Lui. Infatti non si prega per pensare, ma per cercare, per incontrare il Signore, per starsene con Lui [3].

 

[1] Cfr. L. Évely, La preghiera di un uomo moderno, Marietti, Torino 1969, p. 113.

[2] A. Ballestrero, Cerco il tuo volto, cit., p. 81.

[3] Ibid., p. 75.

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